"[...] un esempio meraviglioso, spinta dalla gioia di mostrarsi utile, di prestare la propria forza e il proprio entusiasmo per la salvezza di un bene comune. Onore ai beats, onore agli angeli del fango”. Queste parole con cui Giovanni Grazzini, giornalista fiorentino del Corriere della Sera, battezzò l'esercito di volontari di ogni età e di ogni parte d'Italia e del mondo che giunse a Firenze dopo quel tragico 4 novembre 1966 per contribuire a far rivivere la culla del Rinascimento. Espressione, "angeli del fango", da allora entrata a far parte del lessico comune per identificare non solo delle persone ma lo sforzo, il cuore e la ferrea volontà che unite alla tenacità tipica dei fiorentini sconfissero la marea di acqua e melma.
Nel cinquantesimo anniversario di quel tragico evento, in cui persero la vita 35 persone in tutta la provincia (numero forse contenuto per via della festività della giornata), sono state organizzate dal Comitato "2016 Progetto Firenze" una serie di commemorazioni lunghe un anno. Tra esse segnalo una mostra fotografica itinerante dal titolo "1966 l’Alluvione di Firenze", curata dai giornalisti Franco Mariani e Mattia Lattanzi, ospitata in varie sedi della città che ho avuto il piacere di visitare durante la tappa espositiva presso la biblioteca delle Oblate in via dell'Oriuolo. Una serie di pannelli, con foto inedite accurate descrizioni e testimonianze di chi quei momenti li ha vissuti in prima persona, fanno rivivere aspetti anche poco conosciuti della peggiore alluvione di Firenze.
Per ricordare la calamità naturale che sconvolse la città, nelle sue dinamiche e dimensioni, ma anche tutta quella serie di aspetti collaterali ma tutt'altro che secondari che ne derivarono. Innanzitutto la pericolosità e imprevedibilità dell'Arno, che come dimostra la storia ha ripetutamente allagato Firenze e non solo, la mancata messa in sicurezza a distanza di cinquanta anni del suo bacino idrico (è in corso un progetto per la tutela del territorio e la prevenzione del rischio idrogeologico) unita al peso delle responsabilità umane nelle cause del disastro e nel mancato allarme alla popolazione.
Poi l'incredibile catena di solidarietà, come già accennato, che coinvolse oltre sessanti Paesi e dimostrò la grande anima umanitaria capace di oltrepassare distanze geografiche, linguistiche, sociali e culturali nel momento del bisogno. Emblematico il caso degli oltre tremila giovani scout spontaneamente accorsi a Firenze uniti dalla voglia di rendersi utili a cui furono affidate le operazioni di distribuzioni viveri, farmaci e indumenti. Squadre di volenterosi, guidati dal coraggio, da smisurata generosità e da infaticabile abnegazione combatterono nel fango per giorni e giorni pur di ridare vita alla città isolata e dilaniata dalla catastrofe. I radioamatori con le loro stazioni mobili per quasi tre giorni rappresentarono l'unico mezzo per comunicare in città e con l'esterno, dettero voce alla disperazione che si respirava a Firenze e dintorni sostituendo le reti ufficiali di telecomunicazione andate irrimediabilmente distrutte dall'onda di fango. Idro Montanelli, sul Corriere della Sera, arrivò perfino a scrivere che l'autentica tragedia di Firenze, per chi osservava da fuori, era passata in secondo piano rispetto al risalto dato dai media agli sforzi dei soccorritori facendo sembrare che "[...] l'alluvione di soldati, pompe, autobotti, camionette, viveri, indumenti, medicinali, attrezzi, ministri e deputati, fosse più imponente di quella dell'Arno".
Encomiabile lo spirito dei fiorentini che emerge fin dalle prime ore successive allo straripamento delle acque. Afflitti, feriti negli affetti e nei propri beni, piegati dalla tragedia che si è abbattuta sulla loro amata città. Un popolo piegato ma non spezzato dalla forza della natura, dignitosamente aggrappato alla forza di volontà che gli è propria, a quell'orgoglio combattivo e talvolta burbero tipico di chi hai il privilegio di appartenere della città più bella del mondo. E per questo strenuamente e visceralmente legato alla propria urbe da sempre difesa contro tutti con le unghie e con i denti. Appena il mare fangoso inizia a ritirarsi i fiorentini si sono già rimboccati le maniche. Non c'è tempo per piangersi addosso, con mezzi di fortuna si cerca di ricostruire, salvare il salvabile e aiutare chi è più in difficoltà. Basti pensare alla famiglia di Michele Ferlito, che nel 1966 ricopriva al carica di direttore degli Istituti penitenziari di Firenze, messa in salvo dal loro appartamento confinante con il carcere di Borgo la Croce grazie all'intervento dei detenuti.
Straordinarie le parole con cui il giornalista del quotidiano "La Nazione", Franco Nencini, il giorno 6 novembre immortala le sue impressioni dalla città. "La gente cammina per le strade infangata, insonne, distrutta" si legge nel suo articolo. "C'è in questo popolo che sana le proprie disperate ferite e cerca di aiutare gli altri, di informarsi della loro sorte, una dignità antica [...] Le ventiquattro ore peggiori della nostra vita sono passate. Davanti a noi c'è ancora tanto da scoprire, c'è bisogno per tutti di tanto coraggio. Per ricostruire, per ricominciare. Alle spalle abbiamo un deserto di acqua e fango".
Le cronache descrivono uno scenario apocalittico. Più di quattordicimila case sono danneggiate o distrutte, il tessuto economico in ginocchio con quasi diciannovemila tra aziende, esercizi e botteghe artigiane alluvionate, il 70% di alberghi e l'80% di ristoranti devastati dalla furia dell'Arno. Migliaia le persone che hanno perso il lavoro, senza contare chi ha perso familiari e proprietà. Il flagello dell'inondazione spazza via tutto fuorché lo spirito fiorentino che, a distanza poche ore, esorcizza il difficile momento con amara ironia: "bagni di fango", "chiuso per nervoso" e "oggi umido" (appeso sul bandone di un noto ristorante) sono alcuni dei cartelli che compaiono in città.
Il patrimonio artistico di Firenze subì danni incalcolabili e ancora oggi si contano centinaia di opere in attesa di restauro. Conseguenza fu il grande impulso che investì il settore del restauro e recupero delle opere d'arte con lo sviluppo di collaborazioni internazionali e l'ascesa dell'Opificio delle Pietre Dure a centro di eccellenza e avanguardia a livello europeo. Come è facile immaginare gravemente danneggiato risultò il patrimonio librario conservato nelle varie biblioteche, musei e istituzioni della città. Migliaia di libri, manoscritti e codici preziosi distrutti dalla miscela di acqua fango e nafta. Nell'opera di recupero e restauro del materiale cartaceo si distinsero due realtà ecclesiastiche, il laboratorio di restauro scientifico del libro in Vaticano e l'Antica abbazia di San Nilo a Grottaferrata vicino Roma, sede di un antico centro di conservazione e restauro libri. Un lavoro certosino di lavaggio, trattamento, asciugatura e rilegatura che ha riportato in vita oltre mille libri dal valore inestimabile tra i quali il catalogo Magliabechiano e quello Palatino investiti dalla piena nella Biblioteca Nazionale di Firenze.
Nel cinquantesimo anniversario di quel tragico evento, in cui persero la vita 35 persone in tutta la provincia (numero forse contenuto per via della festività della giornata), sono state organizzate dal Comitato "2016 Progetto Firenze" una serie di commemorazioni lunghe un anno. Tra esse segnalo una mostra fotografica itinerante dal titolo "1966 l’Alluvione di Firenze", curata dai giornalisti Franco Mariani e Mattia Lattanzi, ospitata in varie sedi della città che ho avuto il piacere di visitare durante la tappa espositiva presso la biblioteca delle Oblate in via dell'Oriuolo. Una serie di pannelli, con foto inedite accurate descrizioni e testimonianze di chi quei momenti li ha vissuti in prima persona, fanno rivivere aspetti anche poco conosciuti della peggiore alluvione di Firenze.
Per ricordare la calamità naturale che sconvolse la città, nelle sue dinamiche e dimensioni, ma anche tutta quella serie di aspetti collaterali ma tutt'altro che secondari che ne derivarono. Innanzitutto la pericolosità e imprevedibilità dell'Arno, che come dimostra la storia ha ripetutamente allagato Firenze e non solo, la mancata messa in sicurezza a distanza di cinquanta anni del suo bacino idrico (è in corso un progetto per la tutela del territorio e la prevenzione del rischio idrogeologico) unita al peso delle responsabilità umane nelle cause del disastro e nel mancato allarme alla popolazione.
Poi l'incredibile catena di solidarietà, come già accennato, che coinvolse oltre sessanti Paesi e dimostrò la grande anima umanitaria capace di oltrepassare distanze geografiche, linguistiche, sociali e culturali nel momento del bisogno. Emblematico il caso degli oltre tremila giovani scout spontaneamente accorsi a Firenze uniti dalla voglia di rendersi utili a cui furono affidate le operazioni di distribuzioni viveri, farmaci e indumenti. Squadre di volenterosi, guidati dal coraggio, da smisurata generosità e da infaticabile abnegazione combatterono nel fango per giorni e giorni pur di ridare vita alla città isolata e dilaniata dalla catastrofe. I radioamatori con le loro stazioni mobili per quasi tre giorni rappresentarono l'unico mezzo per comunicare in città e con l'esterno, dettero voce alla disperazione che si respirava a Firenze e dintorni sostituendo le reti ufficiali di telecomunicazione andate irrimediabilmente distrutte dall'onda di fango. Idro Montanelli, sul Corriere della Sera, arrivò perfino a scrivere che l'autentica tragedia di Firenze, per chi osservava da fuori, era passata in secondo piano rispetto al risalto dato dai media agli sforzi dei soccorritori facendo sembrare che "[...] l'alluvione di soldati, pompe, autobotti, camionette, viveri, indumenti, medicinali, attrezzi, ministri e deputati, fosse più imponente di quella dell'Arno".
Encomiabile lo spirito dei fiorentini che emerge fin dalle prime ore successive allo straripamento delle acque. Afflitti, feriti negli affetti e nei propri beni, piegati dalla tragedia che si è abbattuta sulla loro amata città. Un popolo piegato ma non spezzato dalla forza della natura, dignitosamente aggrappato alla forza di volontà che gli è propria, a quell'orgoglio combattivo e talvolta burbero tipico di chi hai il privilegio di appartenere della città più bella del mondo. E per questo strenuamente e visceralmente legato alla propria urbe da sempre difesa contro tutti con le unghie e con i denti. Appena il mare fangoso inizia a ritirarsi i fiorentini si sono già rimboccati le maniche. Non c'è tempo per piangersi addosso, con mezzi di fortuna si cerca di ricostruire, salvare il salvabile e aiutare chi è più in difficoltà. Basti pensare alla famiglia di Michele Ferlito, che nel 1966 ricopriva al carica di direttore degli Istituti penitenziari di Firenze, messa in salvo dal loro appartamento confinante con il carcere di Borgo la Croce grazie all'intervento dei detenuti.
Straordinarie le parole con cui il giornalista del quotidiano "La Nazione", Franco Nencini, il giorno 6 novembre immortala le sue impressioni dalla città. "La gente cammina per le strade infangata, insonne, distrutta" si legge nel suo articolo. "C'è in questo popolo che sana le proprie disperate ferite e cerca di aiutare gli altri, di informarsi della loro sorte, una dignità antica [...] Le ventiquattro ore peggiori della nostra vita sono passate. Davanti a noi c'è ancora tanto da scoprire, c'è bisogno per tutti di tanto coraggio. Per ricostruire, per ricominciare. Alle spalle abbiamo un deserto di acqua e fango".
Le cronache descrivono uno scenario apocalittico. Più di quattordicimila case sono danneggiate o distrutte, il tessuto economico in ginocchio con quasi diciannovemila tra aziende, esercizi e botteghe artigiane alluvionate, il 70% di alberghi e l'80% di ristoranti devastati dalla furia dell'Arno. Migliaia le persone che hanno perso il lavoro, senza contare chi ha perso familiari e proprietà. Il flagello dell'inondazione spazza via tutto fuorché lo spirito fiorentino che, a distanza poche ore, esorcizza il difficile momento con amara ironia: "bagni di fango", "chiuso per nervoso" e "oggi umido" (appeso sul bandone di un noto ristorante) sono alcuni dei cartelli che compaiono in città.
Il patrimonio artistico di Firenze subì danni incalcolabili e ancora oggi si contano centinaia di opere in attesa di restauro. Conseguenza fu il grande impulso che investì il settore del restauro e recupero delle opere d'arte con lo sviluppo di collaborazioni internazionali e l'ascesa dell'Opificio delle Pietre Dure a centro di eccellenza e avanguardia a livello europeo. Come è facile immaginare gravemente danneggiato risultò il patrimonio librario conservato nelle varie biblioteche, musei e istituzioni della città. Migliaia di libri, manoscritti e codici preziosi distrutti dalla miscela di acqua fango e nafta. Nell'opera di recupero e restauro del materiale cartaceo si distinsero due realtà ecclesiastiche, il laboratorio di restauro scientifico del libro in Vaticano e l'Antica abbazia di San Nilo a Grottaferrata vicino Roma, sede di un antico centro di conservazione e restauro libri. Un lavoro certosino di lavaggio, trattamento, asciugatura e rilegatura che ha riportato in vita oltre mille libri dal valore inestimabile tra i quali il catalogo Magliabechiano e quello Palatino investiti dalla piena nella Biblioteca Nazionale di Firenze.
Ingenti danni subì anche la sinagoga ebraica fiorentina violata al suo interno dalle acque limacciose del fiume che travolsero arredi, paramenti e reliquie. L'acqua, che in via Farini raggiunse l'altezza di quattro metri, sommerse la lipide che ricorda i nomi dei 248 ebrei fiorentini uccisi durante la Seconda Guerra mondiale. Antiche Bibbie, rarissime pergamene e testi sacri conservati nel Tempio finirono sotto una spessa coltre di fango al pari dei volumi, alcuni risalenti al XV–XVI secolo, conservati nell'annessa biblioteca. Alcune centinaia di questi libri tornano a Firenze in occasione della ricorrenza dell'alluvione, oggetto di una mostra che valorizza il loro recupero dopo un'assenza di dieci lustri dal quel fatidico 4 novembre 1966.
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