venerdì 11 agosto 2017

Un piccolo tour a misura di bambini. Bergamo e dintorni

Quattro giorni a disposizione per far divertire due bambini piccoli e scoprire posti nuovi. Con queste premesse carichiamo le valigie in auto e imbocchiamo l'autostrada in direzione Bergamo. 
Come sistemazione scegliamo un agriturismo nella campagna di Palazzago, gestito con passione e cura da una famiglia che ha fatto della realtà campestre una scelta di vita. Un casale rustico, qualche animale da fattoria, la passione per la cucina e tanti prodotti fatti in casa, a km zero, ci accolgono durante il nostro breve soggiorno.

martedì 27 giugno 2017

Mare e...Maremma. Una vacanza in famiglia

Se siete alla ricerca di una destinazione family friendly che unisca il mare, lunghe spiagge, deliziosi borghi, arte e buona cucina ho uno spunto da consigliarvi: la Maremma. Un angolo di terra toscana dal gusto autentico e verace che riesce ad accontentare sia gli amanti della natura che quelli della cultura, unendo i sapori del mare e della campagna.
Punto di partenza l'esplorazione delle antiche città del tufo.

sabato 20 maggio 2017

Il Museo Horne, un prezioso lascito tutto da scoprire nella Firenze poco conosciuta

Il "palagetto" è uno splendido palazzo rinascimentale fatto costruire da una ricca famiglia di mercanti tessili, i Corsi, su un preesistente edificio di età medievale nel cuore del quartiere di Santa Croce. Articolato su più piani, originariamente sviluppava gli ambienti di rappresentanza e affari al piano terra, la sala da ricevimento e le stanze padronali al primo, la sala da pranzo con la cucina e le camere dei bambini e della balia al secondo, e gli ambienti riservati alla servitù al terzo e ultimo piano. 



Il palazzo succedutosi nei secoli a più proprietari subì nel corso dell'800 una fase di abbandono a cui mise fine nel 1911 Herbert Percy Horne, inglese di nascita e architetto, storico dell'arte, studioso e letterato di professione. Raffinato collezionista di opere d'arte in particolare del Quattrocento e Cinquecento, Horne acquistò e restaurò Palazzo Corsi con un attento spirito filologico per ricrearne l'atmosfera di elegante dimora rinascimentale in cui allestire la sua pregiata raccolta di capolavori. La morte lo colse prima della fine dei lavori, portati a termine secondo le volontà di Horne da Carlo Gamba e Giovanni Poggi. La proprietà del palazzo e della sua collezione passò come lascito allo Stato Italiano purché fosse garantita la fruibilità del bene. Dal 1921 il Museo Horne accoglie i visitatori nei suoi ambienti ricchi di fascino custodi di arredi lignei, sculture, dipinti e oggetti preziosi datati tra il Duecento e il Seicento. 





La tavola con Santo Stefano di Giotto, il Cristo crocefisso e la Regina Vasti di Filippino Lippi, le statuette del Giambologna e Ammannati, il dittico portatile di Simone Martini e Lippo Memmi sono tra le opere di maggior pregio. Ma non meno affascinanti sono i cassoni nuziali dipinti o le credenze in legno di noce intarsiato, scrupolosamente selezionate e inserite da Horne in una esposizione equilibrata e curata nei minimi dettagli. 



Tra gli oggetti che si distinguono per la loro peculiarità segnalo la culla di legno di noce intarsiato di manifattura toscana risalente alla seconda metà del XVI secolo, il desco da parto quattrocentesco (una sorta di pregiato vassoio su cui veniva servito alla puerpera il primo pasto dopo il parto) finemente dipinto con un Putto con gli stemmi delle famiglie dei neo genitori e scena del Giudizio Universale e lo stipo a uso medagliere sempre in legno di noce intagliato del XVII secolo. 







Nell'ambiente destinato in origine alla cucina sono esposte una serie di posate argentee tra cui originali nettadenti usati dalle ricche signore del'400. 
Prima di lasciare il Palagetto non perdetevi una chicca nella prima sala al primo piano. Non lontano dalla porta di ingresso sul pavimento c'è una piccola botola quadrata che, sollevandola, crea una visuale sul portone al piano terra. Un antenato dell'attuale spioncino che consentiva di vedere chi bussava alla porta in tutta sicurezza. 
Un museo fuori dai circuiti turistici più conosciuti, da visitare in tutta tranquillità per gustarne a pieno il contenuto, il contenitore e lo spirito infuso dal suo creatore che ancora permea questo scrigno di tesori.





Dove: via de' Benci 6 - Firenze
Quando: tutti i giorni dalle ore 10 alle ore 14 eccetto il mercoledì
Costo: biglietto intero euro 7,00, ridotto euro 5,00


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mercoledì 12 aprile 2017

Firenze "nascosta" parte seconda. Il Cenacolo di Andrea del Sarto

Quartiere 2 di Firenze, periferia est. Una strada stretta perpendicolare alla ferrovia, a due passi dal cavalcavia di Piazza Alberti e adiacente al parco dell'ex manicomio di San Salvi. Qui al numero civico 16 si trova il cenacolo di Andrea del Sarto, all'interno del convento dei monaci benedettini vallombrosani passato intorno alla metà del 500 alle monache di San Giovanni Evangelista di Faenza e poi nel corso dell'800 divenuto museo a seguito della soppressione degli ordini monastici e dell'incameramento dei loro beni da parte dello Stato. 


Il convento, la cui costruzione risale al XI secolo, subì un notevole ampliamento agli inizi del 500 con la costruzione di un grande refettorio preceduto dalle sale della "cucina" e del "lavabo". La decorazione della parete di fondo del refettorio fu affidata nel 1511 ad Andrea del Sarto che, solo 16 anni più tardi, riuscì a portare a compimento l'opera con la rappresentazione dell'Ultima Cena.

 

Un affresco imponente, dalla spiccata vivacità comunicativa che ruota intorno alla centralità delle figure di Cristo e Giuda, seduto al suo fianco e non di spalle come da tradizione stilistica.
Nell'ampio salone del refettorio sono ospitate anche altre opere di Andrea del Sarto, risalenti per lo più al periodo giovanile, e tre dipinti del Pontormo del suo periodo di apprendistato nella bottega di Andrea.
 

L'ambiente del "lavabo" prende il nome dal solenne lavabo in pietra serena, scolpito da Giovanni da Verrazzano e decorato successivamente da Cosimo Gamberucci, dove i monaci si lavavano le mani prima di accedere al refettorio. Nella parete opposta al lavabo, le teche che ora ospitano piccoli dipinti erano un tempo il luogo di ricovero delle stoviglie utilizzate durante i pasti, cucinati nello spazio attiguo dove protagonista indiscusso è un monumentale camino.





Il lungo corridoio di accesso a questa trilogia di ambienti è stato trasformato in una piccola galleria di dipinti manieristi di artisti gravitanti nell'area fiorentina quali il Francianigio, Raffaellino del Garbo e Bugiardini. Menzione a parte meritano le due lunette con la rappresentazione di San Domenico e Santa Caterina opera di suor Plautilla Nelli, monaca dell'ordine domenicano vissuta nel '500 e conosciuta come la "prima donna pittrice di Firenze".




Dove: Via di San Salvi, 16 - Firenze
Quando: Martedì - Domenica con orario 8.15-13.50. Chiuso lunedì.
Costo: gratuito


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domenica 29 gennaio 2017

Ultimo dell'anno in Alto Adige con bambini. Un tour tra mercatini e paesaggi incantati

Dopo gli ultimi veglioni di capodanno trascorsi comodamente in casa, questa volta decidiamo di festeggiare la fine dell’anno fuori casa con i nostri due pargoletti immergendoci nella tipica atmosfera natalizia dell’Alto Adige. Con qualche mese di anticipo, dopo una paziente ricerca sul web, prenotiamo una camera panoramica presso la Gasthof “Rösslwirt” nel piccolo paese di Barbiano, una manciata di case e anime all'ombra del campanile (molto) pendente che caratterizza la chiesa romanica locale. Affacciato sulla Valle Isarco, lungo la strada che unisce Bolzano a Bressanone, questo tipico albergo in stile tirolese a gestione familiare, accogliente negli ambienti e nell'ospitalità e seducente per l’ottima cucina tradizionale che offre ai propri clienti, è stata la nostra base di partenza per un tour tra mercatini natalizi e città dell’Alto Adige.

Adeguatamente vestiti per il freddo pungente e con i passeggini come fedeli compagni delle nostre scorribande, ci siamo mossi con estrema facilità in tutti i luoghi che abbiamo visitato. L’assenza di neve ci ha sicuramente aiutato in questo, mentre per combattere le basse temperature abbiamo optato per una bella tuta da sci per i bambini e per un po’ di vin brûlé per gli adulti.
Le nostre esplorazioni hanno avuto come teatro quell'arco di territorio compreso tra Merano ad ovest, Bolzano a sud e Vipiteno a est all'interno del quale gli spostamenti sono brevi e resi rapidi dall'autostrada A22 o da strade statali di grande percorrenza.
Dedichiamo il 30 pomeriggio al viaggio, con arrivo per l’ora di cena all'albergo in modo da essere freschi e riposati per la notte di capodanno. Il 31” battezziamo” il nostro tour con la prima tappa a Vipiteno, il capoluogo dell’Alta Val d’Isarco a una manciata di chilometri dal confine con l’Austria. Il centro ruota attorno alla Torre delle Dodici, all'incrocio tra la città vecchia e quella nuova, che svetta imperiosa sul tessuto urbano. Ai piedi della torre è adagiato il mercatino natalizio circondato da raffinati palazzi borghesi, tra invitanti odori di leccornie e i giri del calesse che accompagna i visitatori per le strade della città.
Dopo una rigenerante e calorica pausa in una pasticceria a base di zelten, tipico dolce tradizionale a base di frutta secca e canditi, riprendiamo il cammino con una visita alla Chiesa di Santo Spirito, affacciata anch'essa sulla piazza centrale, notevole esempio di architettura gotica con un imponente ciclo di affreschi al suo interno. Un piatto fumante di canederli in brodo, un buon brezel e si riparte in direzione del nostro albergo. Mentre i bambini riposano in vista della lunga notte mi concedo un giro panoramico in auto nei dintorni di Barbiano da dove, tempo e voglia permettendo, si dipanano numerosi sentieri nella ridente natura circostante. Un paesaggio rigenerante si staglia davanti a me. Macchina fotografica a portata di mano, le vette montuose scarsamente innevate, ameni prati verdi su cui cala una pace surreale. 


E’ tempo di tornare all'albergo per radunare la truppa: ci aspetta Ortisei dove alle 18.00 iniziano i festeggiamenti che animeranno il paese nella notte più lunga dell’anno. Al calare della sera Ortisei appare come un piccolo presepe illuminato, il saliscendi di vie e gli eleganti edifici rischiarati da mille candide luci. Impareggiabile la veduta che se ne gode dall'alto. Attraversiamo tutto il centro, attratti dalle consuete casette di legno che offrono ristoro e prelibatezze, per raggiungere la pista Palmer teatro della fiaccolata dei maestri della locale scuola di sci e snowboard. A seguire un bello spettacolo pirotecnico ci proietta già in avanti di qualche ora, ma tutto sommato questa anticipazione non ci dispiace affatto. Per ora di cena rientriamo alla base, ci aspetta il cenone organizzato dal nostro albergo con un succulente menù che culmina con il buffet di dolci e brindisi della mezzanotte. Ci godiamo i fuochi d’artificio che colorano il cielo della valle sottostante, salutiamo il 2016 e ci apprestiamo a tuffarci nel nuovo anno.


Il 2017 ci accoglie con una gelida mattinata e un cielo terso e azzurro. Attraverso un paesaggio avvolto da un manto di ghiaccio ci addentriamo nella Val Pusteria con destinazione Brunico. Lasciata l’auto nei pressi di Via Bastioni, animata da un grande mercatino natalizio, accediamo al centro storico di impianto medievale attraverso una delle antiche porte della città. I classici edifici con finestre a sporto scandiscono la via Centrale che taglia la città in senso longitudinale. Ci sediamo in un punto ristorazione nei pressi della Chiesa delle Orsoline: la vicinanza di una stufa, delle coperte sulle gambe, un bicchiere colmo di vino di mele caldo e un piatto fumante di gulasch stemperano a stento la rigida temperatura invernale.
Nelle prime ore di pomeriggio raggiungiamo, appena fuori il centro abitato, la cabinovia che sale sulla cima di Plan de Corones una terrazza naturale ad oltre 2000 metri da cui lo sguardo spazia a 360° sulle Dolomiti e su molte altre vette dell’arco alpino. La giornata è limpida e la potenza del paesaggio si cela nella sua interezza. Fa un certo effetto vederle così spoglie di neve nel pieno della stagione invernale; il divertimento degli sciatori, nel loro frenetico andirivieni di tute colorate e sci di ultima generazione, è assicurato dalla neve artificiale che imbianca i cento chilometri di piste del comprensorio. Anche per i bambini quel sottile strato di neve è sufficiente per un po’ di sano divertimento: due pallate, una corsa in slittino e qualche “tuffo” nel mare bianco.
Arriviamo a Bressanone all'imbrunire, in quell'esatto momento magico in cui la città si accende di un’atmosfera magica. Il Ponte Aquila sull’Isarco ci introduce nel centro storico, in corrispondenza della Torre Bianca, un regno incantato dalle mille luci. Nella centralissima piazza Duomo, davanti alla cattedrale color crema dall'inconfondibile stile barocco, si allineano le casette lignee del mercatino natalizio più affascinante tra quelli visitati. Si respira una sensazione di magia tra gli alberi illuminati, lo scintillio delle palle di Natale e l’odore di pan di zenzero e cannella.


Il terzo giorno è tutto per Bolzano. Inutile dilungarsi troppo sul suo incantevole centro storico, ordinato e a misura d’uomo, sul mercatino in Piazza Walther, un tripudio di presepi, decori natalizi e squisitezze per gli occhi e palato, su Piazza delle Erbe, sui tesori storico-artistici ed esercizi commerciali che ne costellano le vie. Guide e web abbondano di informazioni. Appassionante è la visita al Museo archeologico provinciale dedicato al ritrovamento di Ötzi, il corpo di un cacciatore dell’età del Rame rinvenuto casualmente sulle Alpi Venoste al confine tra Italia e Austria ormai 25 anni or sono. Ricco di informazioni e dettagli, questo museo si presta particolarmente alla visita di bambini e ragazzi per la sua impostazione fortemente didattica e stimolante. Ci congediamo da Bolzano nel tardo pomeriggio dopo una gustosa sosta in una delle eleganti caffetterie che si affacciano su Piazza Walther.



Siamo al penultimo giorno che prevede un ricco programma articolato in più tappe. Mentre il sole inonda di luce le montagne, raggiungiamo Castel Roncolo alle spalle di Bolzano all'imbocco della Val Sarentino. Raggiungibile con un strada pedonale ciottolosa e alquanto ripida, questo castello sorge intatto nella sua foggia medievale su uno sperone roccioso e conserva al suo interno il ciclo di affreschi a carattere profano più esteso al mondo. Peculiarità che gli ha valso il nome di “Maniero Illustrato”: una galleria parietale di preziose testimonianze sulla vita di corte e sui suoi costumi, un intreccio di temi cavallereschi e letterari che trionfano nel ciclo di scene in terra verde raffigurante il mito di Tristano e Isotta.
Con la statale 38 dello Stelvio Merano si raggiunge in un tiro di schioppo. Prima di entrare in città facciamo una breve deviazione verso nord in direzione Lagundo dove ha sede la fabbrica della birra Forst. In uno spazio all'aperto chiamato “Giardino Forst”, è ricreato nel periodo natalizio un piccolo villaggio con piccole quanto deliziose casette di legno dove concedersi un buon pasto innaffiato dalle birre di produzione locale. A seguire, per smaltire le calorie accumulate, una piacevole camminata a Merano sotto i portici delle vie del centro tra boutique e botteghe artigianali, dentro le stanze del castello principesco e tra le casette dello scintillante mercatino di Natale nella passeggiata Lungo Passirio.


L’ultimo giorno è ormai giunto e i bagagli malinconicamente preparati. Ci congediamo dall'Alto Adige con una breve visita al borgo antico di Chiusa prima e a San Paolo dopo, il paese dei presepi nei pressi di Bolzano. Da qui, costeggiando il Lago di Caldaro, procediamo sulla strada del vino fino al paese di Termeno dove, dopo acquisto in una delle tante enoteche presenti dell’eccellente vino locale Gewürztraminer, imbocchiamo l’autostrada in direzione di casa.


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venerdì 30 dicembre 2016

Il Tabernacolo delle Fonticine. Un capolavoro ritrovato

A volte ritornano…a splendere. Piccoli capolavori artistici disseminati negli angoli della città, per decenni avvolti nell'oblio, protagonisti dell’incuria urbana e dell’indifferenza generale. La polvere, il degrado, le ferite inferte dall'intemperie diventano i tratti somatici di queste malinconiche icone di un’abbondanza artistica inversamente proporzionale agli investimenti pubblici destinati al capitale culturale italico. Asimmetria di cui spesso cadono vittima anche esempi ben più illustri e conosciuti. Crowdfunding, finanziamenti di privati e art bonus sono le recenti frecce innestate sull'arco delle iniziative a sostegno del patrimonio pubblico culturale.  
Ristretto tra i negozi che con ritmo serrato scandiscono i fianchi di via Nazionale, alla confluenza di via dell’Ariento con la vista sulla distesa di barrocci del mercato di San Lorenzo e sulle Cupole della basilica omonima. Testimone del sottostante traffico cittadino e dell’incurante via vai antropico multilingue, incessanti giorno e notte. Vituperato dal tempo che fende in superficie e in profondità, come un veterano di guerra segnato sul corpo e nell'anima. Poi le impalcature, i tubi metallici che lo recingono, le tecniche salvifiche e le mani delicate dei restauratori restituiscono ad antico splendore il cinquecentesco Tabernacolo delle Fonticine.


La “rinascita” è frutto, secondo quanto twittato dal Comune di Firenze, di otto mesi di restauri e un esborso economico di quasi 90 mila euro elargito interamente da un ente privato, l’Istituto internazionale di studi Lorenzo de’ Medici, a cui spetteranno anche le future spese di manutenzione del bene per evitare pericolose ricadute di decoro.
Il Tabernacolo è costituito da una struttura architettonica in pietra serena delimitata agli estremi da colonne sormontate da un arco a tutto sesto. Al suo interno è ospitato un grande bassorilievo in terracotta invetriata policroma, realizzato nel 1522 da Giovanni della Robbia, raffigurante la Madonna col Bambino fra i Santi Barbara, Luca, Jacopo e Caterina sovrastati dal Padre Eterno, Spirito Santo e angeli. Una cornice floreale, con teste di santo, racchiude la scena sacra.




E’ l’opera più prestigiosa tra quelle commissionate dalle cosiddette “Potenze festeggianti”, compagnie laiche rionali dai nomi altisonanti composte da popolani dedite all'organizzazione di esibizioni, sbandieramenti, spettacoli, banchetti e finti combattimenti che sovente degeneravano in risse e sassaiole. Attive dalla metà del ‘300 ai primi decenni del ‘600, le potenze furono liberalmente sovvenzionate dai Medici perché considerate una valida valvola di sfogo e distrazione dalla politica per il popolo minuto. Ingente la liquidità di fondi nelle casse del “Reame di Biliemme”, tale da potersi permettere di incaricare la bottega dei Della Robbia per la realizzazione del Tabernacolo.
Il nome “Fonticine” deriva dalle sette cannelle a forma di protomi di cherubini da cui zampilla acqua nella vasca marmorea ai piedi del tabernacolo.



Gli interventi conservativi e di consolidamento hanno coinvolto l’intero tabernacolo che presentava un’omogenea precarietà nel suo complesso. Un restyling a 360 gradi dalla struttura in pietra serena alla copertura in scaglie di laterizio, dalla pala invetriata al serramento vetrato, dalla vasca marmorea all'impianto idrico. Adesso non rimane che togliere le transenne che stazionano davanti al tabernacolo e finalmente Firenze avrà un gioiello in più di cui fregiarsi. 

























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venerdì 9 dicembre 2016

Orsanmichele la chiesa-museo nel cuore di Firenze


Ritagliatevi un’ora di tempo in uno dei lunedì centrali del mese (né il primo né l'ultimo per intendersi) e recatevi in via dei Calzaiuoli a Firenze. Avrete l’occasione di visitare un gioiello architettonico nel pieno cuore di Firenze, ad ingresso gratuito per di più. Mi preme sottolineare il lunedì non perché voglia riempirvi l’agenda d’inizio settimana o perché mi rivolga esclusivamente ai parrucchieri. Ma, battute a parte, semplicemente perché è l’unico giorno della settimana in cui è possibile visitare l’intero complesso di Orsanmichele, l’edificio trecentesco metà chiesa e metà museo che sorge tra Palazzo Vecchio, Piazza della Repubblica e la Cattedrale di Santa Maria del Fiore. 



Curiosa la sua storia, straordinari i suoi apparati decorativi e strategica la sua posizione. Le origini di Orsanmichele risalgono all’epoca longobarda e più precisamente all’VIII secolo, anche se la prima citazione ufficiale è datata alla fine del secolo successivo. Sorgeva in questo luogo, circondato da campi e orti, un oratorio dedicato a San Michele che assunse il nome di San Michele in orto proprio per il contesto agreste che lo circondava. Da lì fu breve il passo, nel gergo popolare, all’abbreviativo Orsanmichele.

Nel 1239 il comune decise di abbattere l’oratorio e sulle sue macerie, come riporta il Vasari nelle Vite, su progetto di Arnolfo di Cambio sorse “di mattoni e con un semplice tetto di sopra, la loggia et i pilastri d'Or S. Michele dove si vendeva il grano”. Via il silenzio, le preghiere e lo spiritualismo; al loro posto le grida di contrattazione, gli scambi di granaglie, il caotico andirivieni dei mercanti. Due colonne della loggia furono affrescate con immagini della Madonna e di San Michele Arcangelo come commemorazione del culto un tempo praticato in questo luogo.

Nel 1337 l’Arte della Seta commissionò agli architetti Francesco Talenti, Benci di Cione e Neri di Fioravante la ricostruzione dell’edificio andato distrutto in un vasto incendio nei primi anni del 300. Fu realizzata una loggia che offriva riparo alle granaglie e alla splendida “Madonna delle Grazie” di Bernardo Daddi, inserita successivamente nell’altare monumentale dell’Orcagna che ancora oggi esalta l’interno della Chiesa di Orsanmichele. 
 

Nonostante le vicissitudini e la funzione commerciale imposta a più riprese, la primitiva vocazione religiosa di Orsanmichele non cessò mai di esistere. Anzi. Nel 1380 prese nuovamente vigore con l’ampliamento della struttura che fu innalzata di due piani: al piano terra le arcate della loggia furono chiuse con trifore in stile tardogotico e vetrate dipinte e l’ambiente fu consacrato alle funzioni religiose; i due piani superiori furono destinati a deposito del grano che veniva movimentato verso il piano terra attraverso canali e feritoie (ancora oggi visibili) scavati nei pilastri della struttura. 



La chiesa conservò l’originaria forma della loggia a pianta rettangolare, inconsueta per un ambiente religioso, che influenzò la disposizione degli spazi interni. L’altare della Madonna delle Grazie non fu collocato al centro come ogni altare maggiore, ma spostato sulla destra per la presenza del pilastro di fondo. L’organicità degli spazi fu bilanciata sulla sinistra dalla presenza dell’altare votivo di Sant’Anna con il gruppo scultoreo con Sant’Anna, la Madonna e il Bambino di Giuliano da Sangallo. Le volte del soffitto e i pilastri conservano integra l’elegante decorazione parietale di fine Trecento.

I quattro lati esterni dell'edificio furono ornati da quattordici tabernacoli con le statue dei santi patroni di tredici corporazioni delle arti fiorentine e del Tribunale di Mercatanzia (l’organo che giudicava le controversie commerciali tra i componenti delle varie corporazioni). Le varie arti scatenarono una competizione artistica commissionando le proprie statue tra il ‘400 e il ‘600 ai maggiori artisti presenti sulla scena fiorentina: Nanni di Banco, Brunelleschi, Ghiberti, Donatello, Giambologna, Andrea del Verrocchio per citare qualche nome. 

Le sculture oggi visibili all’esterno sono fedeli riproduzioni degli originali che, opportunamente restaurati, sono custoditi (se si esclude il San Giorgio di Donatello al Museo del Bargello) nel salone al primo piano. Costituisce questo, insieme al livello sovrastante, la parte museale dell’edificio restituita a splendore da intensivi lavori di restauro e consolidamento avviati dal 1960. Nei secoli è mutato il contenuto ma si è preservata la loro destinazione a deposito: ex granaio, ex Archivio dei Contratti e dei Testamenti nel 500 sotto Cosimo I, ora galleria di splendori scultorei e “museo di se stesso”. Due magnifici saloni, collegati da una stretta scala elicoidale, valorizzati dalle imponenti bifore, dalle volte a crociera in mattoni e dagli affacci unici ai cui si gode un panorama mozzafiato sui tetti e sulle meraviglie architettoniche che lo circondano. 
 
Sembra di poter sfiorare la Torre di Arnolfo di Palazzo Vecchio o la Cupola del Duomo, sospesi tra i centri nevralgici del potere civile e di quello religioso. Due anime che convivono nella stessa Orsanmichele e nella sua perfetta sintesi tra luogo sacro ed spazio pubblico.

Questa la parte che rischiereste di perdervi in un giorno qualunque. Eccetto il lunedì. 





Dove: Via Arte della Lana, 1 Firenze
Quando: la chiesa è aperta tutti i giorni con orario ore 10-17; il museo delle sculture è aperto il lunedì con orario 10-17, chiuso il 1° e ultimo lunedì del mese.
Costo: ingresso gratuito


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sabato 26 novembre 2016

Quando a "Firenze si poteva navigare". L'alluvione raccontata 50 anni dopo

“Da qualche giorno la pioggia cadeva incessante sulla città. Per uno strano scherzo del destino, la sera del 3 novembre, avevo visto al cinematografo il diluvio universale nel film La Bibbia. Inizia così il racconto della tremenda alluvione che funestò Firenze in quel fatidico 4 novembre 1966. A parlare è Milena, fiorentina purosangue classe 1927, nata e cresciuta insieme a sei fratelli nel rione di Santa Croce, anima vera e popolare della città. All'epoca dei fatti è una parrucchiera alle soglie dei quarantanni, proprietaria di un negozio molto conosciuto e frequentato nel suo quartiere di origine. “A quei tempi il 4 novembre era un giorno di festa, si celebrava la Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate. Avevo deciso di aprire ugualmente bottega per metà giornata per andare incontro alle esigenze delle mie tante clienti. Fu così che con mia figlia Gabriella e Daniela, una dipendente del negozio, partimmo con la Fiat 1100 bianca dalla mia abitazione in viale Malta con destinazione via dei Pepi”. Le fogne non ricevono più e per le strade c’è già uno strato consistente di acqua; le ruote dell’auto procedono lentamente mentre a bordo si ignora cosa stia realmente accadendo. “Arrivate in Borgo Pinti mi si spense il motore. Fu allora che il Ranfagni, un conoscente che aveva un negozio di tessuti nella zona, mi venne incontro urlando di fermarmi, di fare inversione e correre a casa perché «l’Arno l’è andaho di fori». Ci prese il panico”. Con sgomento ma senza indugi accolgono il consiglio, invertono la rotta e con molta apprensione guadagnano la strada di ritorno mentre l’acqua continua a salire. “La paura crebbe a tal punto che feci un voto: se fossimo arrivate al Campo di Marte sane e salve avrei acceso un cero alla Madonna nella Chiesa dei Sette Santi in viale dei Mille”. E così fu. Al Campo di Marte la situazione era relativamente tranquilla, tanto che prima di rincasare viene mantenuta la promessa fatta al volante pochi attimi prima. Poi via di corsa ad avvertire il marito della catastrofe che si sta abbattendo su Firenze. “Entrai in casa e Paolo ancora dormiva. Mi diressi diretta in camera da letto agitata e impaurita, «Paolo sveglia c’è l’alluvione, l’Arno è straripato!» gridai”. Essere svegliati di soprassalto non è il massimo, con una notizia di questo tenore ancora meno. Milena ricorda bene la reazione del marito, un uomo dalla scorza burbera stesa sopra un animo generoso. Alzatosi dal letto tra improperi e borbottii, iniziò a vestirsi urlando «Sie, inventane un’altra! L’Arno l’è andaho di fori, sarà l’acqua che esce da una fogna, andiamo a vedere».
Paolo è costretto a ricredersi appena arrivato ai piedi del cavalcavia ferroviario che unisce via Lungo l’Affrico con Piazza Alberti. Oltre non è possibile procedere per le auto ferme che occupano l’intera carreggiata del cavalcavia. “Lasciata l’auto da una parte, risalimmo a piedi il cavalcavia per vedere cosa stava accadendo. Giunti in cima, si prospettò davanti ai nostri occhi uno spettacolo atroce: un mare di acqua e fango aveva ormai invaso Piazza Alberti e le strade circostanti. Vedemmo una macchina trascinata dalle acque sparire in via Gioberti. Paolo rimase sgomento e solo allora comprese che le mie non erano farneticazioni. Dopo un iniziale smarrimento, mi riaccompagnò a casa e poi portò l’auto al sicuro al Salviatino, parcheggiandola lungo la strada che sale verso Fiesole. Nel tornare a casa a piedi scivolò e, cadendo a terra, si incrinò una costola”.

Ma non c’è tempo per lamentarsi, il muro che delimita la ferrovia ha frenato l’afflusso delle acque verso il Campo di Marte ma l’inondazione sta comunque raggiungendo inesorabilmente la loro casa in viale Malta. Finiscono sott'acqua le cantine e i primi quattro gradini dell’atrio. La zona oltre lo Stadio Comunale non viene toccata, se non marginalmente, dall'alluvione. Questo consente ai negozi della zona di rimanere aperti anche durante quei tragici giorni e dare così continuità alla fornitura di viveri e provviste. Tutt'altra situazione invece nel quartiere di Santa Croce dove il livello dell’acqua ha raggiunto i 4,5 metri di altezza. Milena descrive un’apprensione sempre più crescente. “Le comunicazioni erano ovviamente interrotte e il pensiero era rivolto alla mia sorella più grande che abitava col marito e tre figli in Via dei Pepi, a due passi da Santa Croce. Il figlio più piccolo, di appena cinque mesi, era allattato con latte artificiale. Non sapevamo se ne avessero esigenza o meno. Ma mio marito si imbatté fortunosamente in un suo amico che girava con un canotto. Comprò del latte in polvere e si fece dare un passaggio fino a Via del Fico per effettuare la consegna. Quel giorno a Firenze si poteva navigare”. Mai Paolo avrebbe immaginato di dover remare per spostarsi nella sua città, attraverso chiassi e vicoli resi irriconoscibili dalla piena dell’Arno.

Milena non sa che le difficoltà maggiori le sta in realtà incontrando un altro suo fratello, Marcello. Vive con la moglie, i suoceri e due figli piccoli a pochi chilometri da casa sua, in via Luna, una stretta strada incastonata tra via Gioberti e via Giotto. Lì, al di là della ferrovia, l’esondazione è arrivata prepotente. Il livello dell’acqua sale con la stessa rapidità con cui cresce la preoccupazione della famiglia che abita al primo piano. Un paio di scalini ancora è l’abitazione sarà allagata. Marcello non si sente più protetto a rimanere in casa, è deciso a mettere in sicurezza i suoi cari. Si agita, scatta da una parte all'altra, fiuta il pericolo. Tenta un gesto disperato: con un figlio sulle spalle e uno in braccio esce di casa, entra nel mare di acqua che lo circonda. Avanza lentamente deciso a raggiungere il cavalcavia di Piazza Alberti. L’acqua gli arriva al torace, l’impresa è ardua quanto irrealizzabile. È costretto a desistere, torna in casa ma non si perde d’animo. Il suo carattere mai domo, impulsivo e tenace individua una via alternativa per mettersi al sicuro. “Uscirono sulla terrazza che si affacciava sul retro della casa” prosegue ancora Milena incarnando la drammaticità emotiva di chi quella situazione l’ha vissuta in prima persona. “Da qui salirono sul confinante tetto di un’officina che sorgeva accanto alla casa. Marcello avanti, gli altri dietro. Voleva raggiungere la terrazza di un appartamento posto più in alto rispetto al loro. Servendosi di una scala a pioli creò un collegamento di fortuna, instabile e sospeso nel vuoto, tra il tetto dell’officina e la ringhiera della terrazza”. È l’unica via di uscita. Uno alla volta, salgono la scala, Marcello fa avanti e indietro con i figli in collo. Raggiungono così l’abitazione dove vive, da sola, una distinta signora di mezza età che tra stupore e cortesia, apre la porta di casa. O, per meglio dire, la portafinestra. Ha già dato ospitalità a un’altra famiglia in difficoltà. La sua casa diventa un piccolo centro di accoglienza per sette adulti e quattro bambini ai quali la padrona di casa, preoccupata per l'incolumità di ninnoli e ornamenti, rivolge un cortese invito a «toccare con gli occhi e guardare con le mani»

Non appena le acque si ritirano Firenze si risveglia in un mare di fango e detriti. Bisogna rimboccarsi le maniche per riportare alla normalità uno scenario apocalittico, si contano i danni fisici e morali. La famiglia di Milena si divide tra la casa e la bottega. Il negozio è stato completamente sommerso dall'acqua, gli arredi danneggiati, i prodotti dispersi o rovinati. “Fango e nafta aveva imbrattato le pareti fino al soffitto, il locale era stato devastato in tutto e per tutto. Gli sforzi di tanti anni spazzati via in poche ore. Iniziammo a cercare di salvare il salvabile, a spalare, raschiare, pulire e lavare. Lavorammo freneticamente per riaprire prima possibile l’attività. Sei caschi, poltroncine, un divanetto e mobili: tutto da buttare. Un grosso ordine di colori per capelli era arrivato la sera prima dell’alluvione. Fui costretta a gettarne l’intero contenuto perché l’acqua aveva staccato o reso illeggibili le etichette rendendo di fatto inutilizzabili i prodotti. Un dramma. Il Comune concesse agli alluvionati un indennizzo di 500.000 lire ma i danni ammontarono a molto di più, basti pensare che solo un casco all'epoca costava 150.000 lire”.
Di tutto il negozio si salvarono solo le fiale anticaduta per capelli e i bigodini che, sommersi da una coltre di melma, presero la via di casa per cercarne il pieno recupero. “Mi incaricai io di riportare alla luce quell'ammasso di materia e fango” interviene Gabriella, la figlia di Milena allora quindicenne. “Con i secchi andavo avanti e indietro da casa alla piscina Costoli dove prendevo l’acqua dalla vasca, che in quei giorni era l’unica fonte di approvvigionamento idrico disponibile. Lavai via tutto lo sporco. A distanza di cinquant'anni ho ancora vivo il ricordo degli odori fetidi lasciati in dono dalla piena. Quello nauseabondo di putrido, intenso vicino ai negozi di generi alimentari e alle carcasse di animali morti, e quello acre di nafta intriso l’aria, impregnato nei muri, negli oggetti e negli affetti”.





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sabato 5 novembre 2016

Arno fonte di prosperità, fonte di distruzione. La mostra all'Archivio di Stato a cinquantì'anni dall'alluvione

Nell'ambito delle manifestazioni promosse in occasione della ricorrenza del cinquantesimo anno dall'alluvione di Firenze di quel tragico 4 novembre 1966, di cui ho già parlato anche in questo post, si inserisce la mostra inaugurata domenica 9 ottobre presso l'Archivio di Stato di Firenze dal titolo "Arno: fonte di prosperità, fonte di distruzione. Storia del fiume e del territorio nelle carte d’archivio". Promossa dall'Archivio di Stato in collaborazione con la Soprintendenza, l'esposizione è allestita presso gli spaziosi locali al piano terra resi per l'occasione fruibili al pubblico. L'Archivio di Stato di Firenze, uno dei cento presenti su tutto il territorio nazionale, svolge funzioni di tutela e valorizzazione dei beni archivistici in esso conservati per un totale di oltre 75 chilometri di documenti. Un patrimonio inestimabile di carteggi, codici miniati, statuti, disegni, carte geografiche e diplomi che custodisce la storia di Firenze e della Toscana compresa tra l'VIII secolo e i giorni nostri.



Istituito con decreto del 30 settembre 1852 un Archivio centrale dello Stato con sede presso il piano terra e il primo piano degli Uffizi, inglobò una serie di archivi sparsi per la città che custodivano documenti dall'età comunale all'epoca lorenese. Con l'Unità d'Italia, in esso confluì tutta la documentazione non più utile dell'amministrazione locale che, con il passare degli anni, creò non pochi problemi legati alla mancanza di spazi adeguati alla crescente mole di carta oggetto di conservazione. 
Il 4 novembre 1966 l'Archivio fu investito dalla furia della piena dell'Arno che ne danneggiò gravemente il patrimonio documentario sommergendo sette chilometri di scaffali. Tale evento ripropose con forza l'esigenza di trovare una nuova sede per l'istituto che fu inaugurata 23 anni dopo, il 4 febbraio 1989, con il nuovo archivio in viale Giovine Italia progettato da Italo Gamberini. Una struttura trapezoidale, architettonicamente molto articolata sia all'esterno che all'interno dove la volumetria è suddivisa su più livelli. 


La mostra si suddivise in tre sezioni in cui sono esposti disegni, cartografie, documenti e opere d'arte. Le prime due sono dedicate al connubio città-fiume, da sempre indissolubilmente legate da un rapporto di vita-morte che ha visto l'Arno nei secoli come fonte di prosperità per Firenze alternata a terribile forza di distruzione e lutto. Dal 1100 ad oggi si contano 60 alluvioni che hanno scandito ritmicamente gli ultimi nove secoli della nostra storia di cui almeno nove si annoverano tra gli eventi particolarmente gravi. Il 4 novembre, data dell'ultima alluvione, risulta essere un giorno particolarmente nefasto che ha caratterizzato la storia di Firenze con altre due esondazioni nel 1333 e nel 1660. Il record di "giorno nero" spetta però al 6 novembre che registra addirittura quattro alluvioni, ma tutto il mese di novembre risulta essere stato funestamente colpito con sedici episodi trascritti negli annali. Pensando ai fiumi in secca e ai problemi di siccità che caratterizzano le estati su suolo italico, è singolare notare come nel corso del 1500 si siano verificate ben tre alluvioni nel mese di agosto. 


Ma come dicevo l'Arno è stato anche una formidabile via di comunicazione, un luogo di svago e mezzo di sostentamento. Attraversato da meraviglie architettoniche che è quasi riduttivo chiamare ponti, come Ponte Vecchio rappresentato in un'incisione acquarellata di metà 800 con tanto di progetto di copertura a vetri in stile galleria o il Ponte delle Grazie, di cui un modellino in legno riproduce le fattezze originarie con le celle di clausure erette in corrispondenza dei piloni poi demolite nel 1875. 



Tra XVI e XIX secolo le sponde e le acque del fiume hanno costituito un teatro naturale prediletto per spettacoli, feste e celebrazioni. Matrimoni dinastici, visite di sovrani stranieri e giochi scenografici avevano sempre come protagonista il fiume come testimoniato da un dipinto a olio su tela, di autore ignoto, raffigurante una movimentata festa in Arno. 


La terza sezione pone sotto la lente di ingrandimento i danni causati dall'ultima alluvione e il conseguente impulso che ne ebbe l'attività di restauro con la creazione nel 1968 di un laboratorio specializzato dell'Archivio di Stato che col passare degli anni si è affermato come uno dei più importanti a livello nazionale. 
I danni arrecati dalle acque limacciose dell'Arno sul materiale cartaceo sono visibili su alcuni esemplari in mostra ancora non sottoposti a restauro. Delicate operazioni di asciugatura, essiccazione e interfoliazione hanno permesso il recupero di gran parte del patrimonio violentato dall'alluvione grazie anche al fatto che gli inchiostri in uso nei secoli passati non erano solubili in acqua. Spesso irreparabili sono state invece le conseguenze dell'acqua sulle pergamene, rese blocchi informi per via dell'effetto adesivo causato dal deterioramento del collagene.



Lo sguardo spazia anche alle alluvioni che hanno flagellato la città nei secoli precedenti, rivissute attraverso alcune testimonianze contenute nelle carte di conventi e ospedali, relazioni istituzionali e testimonianze dirette. Tra queste spicca quella del Granduca Leopoldo II d'Asburgo Lorena che il 3 novembre 1844 si recò dalla Villa di Poggio a Caiano in città per rendersi conto in prima persona del dramma causato dal fiume nemico. Il Granduca si muove tra i quartieri descrivendo uno scenario in cui regnano "immensa mota", lezzo e "quartieri fatti inabitabili". L'inondazione del 1844 e quella successiva del 1864, nel periodo di Firenze capitale, furono gestite con una certa tempestività ed efficienza dalle autorità cittadine che in entrambi i casi riuscirono a contenere i danni arrecati dalla furia delle acque grazie ad un apparato di intervento capace di gestire l'emergenza. 


Dove: Archivio di Stato di Firenze, Viale della Giovine Italia 6 - Firenze
Quando: fino al 4 febbraio, da lunedì a venerdì con orario 9-17 dal lunedì al venerdì, sabato 9-13, chiuso domenica e festività.
Costo: ingresso libero



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