“Da qualche giorno la
pioggia cadeva incessante sulla città. Per uno strano scherzo del
destino, la sera del 3 novembre, avevo visto al cinematografo il diluvio universale nel
film La Bibbia”. Inizia così il racconto della
tremenda alluvione che funestò Firenze in quel fatidico 4 novembre
1966. A parlare è Milena, fiorentina purosangue classe 1927, nata e
cresciuta insieme a sei fratelli nel rione di Santa Croce, anima vera
e popolare della città. All'epoca dei fatti è una parrucchiera
alle soglie dei quarantanni, proprietaria di un negozio molto
conosciuto e frequentato nel suo quartiere di origine. “A quei
tempi il 4 novembre era un giorno di festa, si celebrava la
Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate. Avevo deciso di
aprire ugualmente bottega per metà giornata per andare incontro alle
esigenze delle mie tante clienti. Fu così che con mia figlia
Gabriella e Daniela, una dipendente del negozio, partimmo con la Fiat
1100 bianca dalla mia abitazione in viale Malta con destinazione via dei
Pepi”. Le fogne non ricevono più e per le strade c’è già uno
strato consistente di acqua; le ruote dell’auto procedono
lentamente mentre a bordo si ignora cosa stia realmente accadendo.
“Arrivate in Borgo Pinti mi si spense il motore. Fu allora che il
Ranfagni, un conoscente che aveva un negozio di tessuti nella zona,
mi venne incontro urlando di fermarmi, di fare inversione e correre a
casa perché «l’Arno l’è andaho di fori». Ci prese il
panico”. Con sgomento ma senza indugi accolgono il consiglio,
invertono la rotta e con molta apprensione guadagnano la strada di
ritorno mentre l’acqua continua a salire. “La paura crebbe a tal
punto che feci un voto: se fossimo arrivate al Campo di Marte sane
e salve avrei acceso un cero alla Madonna nella Chiesa dei Sette
Santi in viale dei Mille”. E così fu. Al Campo di Marte la
situazione era relativamente tranquilla, tanto che prima di rincasare
viene mantenuta la promessa fatta al volante pochi attimi prima. Poi
via di corsa ad avvertire il marito della catastrofe che si
sta abbattendo su Firenze. “Entrai in casa e Paolo ancora dormiva.
Mi diressi diretta in camera da letto agitata e impaurita, «Paolo sveglia c’è l’alluvione, l’Arno è straripato!» gridai”.
Essere svegliati di soprassalto non è il massimo, con una notizia di
questo tenore ancora meno. Milena ricorda bene la reazione del
marito, un uomo dalla scorza burbera stesa sopra un animo generoso. Alzatosi
dal letto tra improperi e borbottii, iniziò a vestirsi urlando «Sie, inventane un’altra! L’Arno l’è andaho di fori, sarà l’acqua che esce da una fogna, andiamo a vedere».
Paolo è costretto a
ricredersi appena arrivato ai piedi del cavalcavia ferroviario che
unisce via Lungo l’Affrico con Piazza Alberti. Oltre non è
possibile procedere per le auto ferme che occupano l’intera
carreggiata del cavalcavia. “Lasciata l’auto da una parte,
risalimmo a piedi il cavalcavia per vedere cosa stava accadendo.
Giunti in cima, si prospettò davanti ai nostri occhi uno spettacolo
atroce: un mare di acqua e fango aveva ormai invaso Piazza Alberti e
le strade circostanti. Vedemmo una macchina trascinata dalle acque
sparire in via Gioberti. Paolo rimase sgomento e solo allora comprese
che le mie non erano farneticazioni. Dopo un iniziale smarrimento, mi
riaccompagnò a casa e poi portò l’auto al sicuro al Salviatino,
parcheggiandola lungo la strada che sale verso Fiesole. Nel tornare a
casa a piedi scivolò e, cadendo a terra, si incrinò una costola”.
Ma non c’è tempo per
lamentarsi, il muro che delimita la ferrovia ha frenato l’afflusso
delle acque verso il Campo di Marte ma l’inondazione sta comunque
raggiungendo inesorabilmente la loro casa in viale Malta. Finiscono sott'acqua le cantine e i primi quattro gradini dell’atrio. La
zona oltre lo Stadio Comunale non viene toccata, se non
marginalmente, dall'alluvione. Questo consente ai negozi della zona
di rimanere aperti anche durante quei tragici giorni e dare così
continuità alla fornitura di viveri e provviste. Tutt'altra situazione invece nel quartiere di Santa Croce dove il livello
dell’acqua ha raggiunto i 4,5 metri di altezza. Milena descrive
un’apprensione sempre più crescente. “Le comunicazioni erano
ovviamente interrotte e il pensiero era rivolto alla mia sorella più
grande che abitava col marito e tre figli in Via dei Pepi, a due
passi da Santa Croce. Il figlio più piccolo, di appena cinque mesi, era allattato con latte artificiale. Non sapevamo se ne avessero esigenza o meno. Ma mio marito si imbatté
fortunosamente in un suo amico che girava con un canotto. Comprò del
latte in polvere e si fece dare un passaggio fino a Via del Fico per
effettuare la consegna. Quel giorno a Firenze si poteva navigare”.
Mai Paolo avrebbe immaginato di dover remare per spostarsi nella sua
città, attraverso chiassi e vicoli resi irriconoscibili dalla piena
dell’Arno.
Milena non sa che le
difficoltà maggiori le sta in realtà incontrando un altro suo
fratello, Marcello. Vive con la moglie, i suoceri e due figli piccoli
a pochi chilometri da casa sua, in via Luna, una stretta strada
incastonata tra via Gioberti e via Giotto. Lì, al di là della
ferrovia, l’esondazione è arrivata prepotente. Il livello
dell’acqua sale con la stessa rapidità con cui cresce la
preoccupazione della famiglia che abita al primo piano. Un paio di
scalini ancora è l’abitazione sarà allagata. Marcello non si
sente più protetto a rimanere in casa, è deciso a mettere in
sicurezza i suoi cari. Si agita, scatta da una parte all'altra,
fiuta il pericolo. Tenta un gesto disperato: con un figlio sulle
spalle e uno in braccio esce di casa, entra nel mare di acqua che lo
circonda. Avanza lentamente deciso a raggiungere il cavalcavia di
Piazza Alberti. L’acqua gli arriva al torace, l’impresa è ardua
quanto irrealizzabile. È costretto a desistere, torna in casa ma non
si perde d’animo. Il suo carattere mai domo, impulsivo e tenace
individua una via alternativa per mettersi al sicuro. “Uscirono
sulla terrazza che si affacciava sul retro della casa” prosegue
ancora Milena incarnando la drammaticità emotiva di chi quella
situazione l’ha vissuta in prima persona. “Da qui salirono sul
confinante tetto di un’officina che sorgeva accanto alla casa.
Marcello avanti, gli altri dietro. Voleva raggiungere la terrazza di
un appartamento posto più in alto rispetto al loro. Servendosi di
una scala a pioli creò un collegamento di fortuna, instabile e
sospeso nel vuoto, tra il tetto dell’officina e la ringhiera della
terrazza”. È
l’unica via di uscita. Uno alla volta, salgono la scala,
Marcello fa avanti e indietro con i figli in collo. Raggiungono così
l’abitazione dove vive, da sola, una distinta signora di mezza età
che tra stupore e cortesia, apre la porta di casa. O, per meglio
dire, la portafinestra. Ha già dato ospitalità a un’altra
famiglia in difficoltà. La sua casa diventa un piccolo centro di
accoglienza per sette adulti e quattro bambini ai quali la padrona di
casa, preoccupata per l'incolumità di ninnoli e ornamenti, rivolge
un cortese invito a «toccare con gli occhi e guardare con le mani».
Non appena le acque si
ritirano Firenze si risveglia in un mare di fango e detriti. Bisogna
rimboccarsi le maniche per riportare alla normalità uno scenario
apocalittico, si contano i danni fisici e morali. La famiglia di
Milena si divide tra la casa e la bottega. Il negozio è stato
completamente sommerso dall'acqua, gli arredi danneggiati, i
prodotti dispersi o rovinati. “Fango e nafta aveva imbrattato le
pareti fino al soffitto, il locale era stato devastato in tutto e per
tutto. Gli sforzi di tanti anni spazzati via in poche ore. Iniziammo
a cercare di salvare il salvabile, a spalare, raschiare, pulire e
lavare. Lavorammo freneticamente per riaprire prima possibile
l’attività. Sei caschi, poltroncine, un divanetto e mobili: tutto
da buttare. Un grosso ordine di colori per capelli era arrivato la
sera prima dell’alluvione. Fui costretta a gettarne l’intero
contenuto perché l’acqua aveva staccato o reso illeggibili le
etichette rendendo di fatto inutilizzabili i prodotti. Un dramma. Il
Comune concesse agli alluvionati un indennizzo di 500.000 lire ma i
danni ammontarono a molto di più, basti pensare che solo un casco all'epoca costava 150.000 lire”.
Di tutto il negozio si
salvarono solo le fiale anticaduta per capelli e i bigodini che,
sommersi da una coltre di melma, presero la via di casa per cercarne
il pieno recupero. “Mi incaricai io di riportare alla luce quell'ammasso di materia e fango” interviene Gabriella, la figlia
di Milena allora quindicenne. “Con i secchi andavo avanti e
indietro da casa alla piscina Costoli dove prendevo l’acqua dalla
vasca, che in quei giorni era l’unica fonte di approvvigionamento
idrico disponibile. Lavai via tutto lo sporco. A distanza di cinquant'anni ho ancora vivo il ricordo degli odori fetidi lasciati
in dono dalla piena. Quello nauseabondo di putrido, intenso vicino ai
negozi di generi alimentari e alle carcasse di animali morti, e
quello acre di nafta intriso l’aria, impregnato nei muri, negli
oggetti e negli affetti”.
Copyright ©2016 “Firenze anda e rianda” by Iacopo Fortini. Tutti i diritti riservati. All rights reserved
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