sabato 26 novembre 2016

Quando a "Firenze si poteva navigare". L'alluvione raccontata 50 anni dopo

“Da qualche giorno la pioggia cadeva incessante sulla città. Per uno strano scherzo del destino, la sera del 3 novembre, avevo visto al cinematografo il diluvio universale nel film La Bibbia. Inizia così il racconto della tremenda alluvione che funestò Firenze in quel fatidico 4 novembre 1966. A parlare è Milena, fiorentina purosangue classe 1927, nata e cresciuta insieme a sei fratelli nel rione di Santa Croce, anima vera e popolare della città. All'epoca dei fatti è una parrucchiera alle soglie dei quarantanni, proprietaria di un negozio molto conosciuto e frequentato nel suo quartiere di origine. “A quei tempi il 4 novembre era un giorno di festa, si celebrava la Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate. Avevo deciso di aprire ugualmente bottega per metà giornata per andare incontro alle esigenze delle mie tante clienti. Fu così che con mia figlia Gabriella e Daniela, una dipendente del negozio, partimmo con la Fiat 1100 bianca dalla mia abitazione in viale Malta con destinazione via dei Pepi”. Le fogne non ricevono più e per le strade c’è già uno strato consistente di acqua; le ruote dell’auto procedono lentamente mentre a bordo si ignora cosa stia realmente accadendo. “Arrivate in Borgo Pinti mi si spense il motore. Fu allora che il Ranfagni, un conoscente che aveva un negozio di tessuti nella zona, mi venne incontro urlando di fermarmi, di fare inversione e correre a casa perché «l’Arno l’è andaho di fori». Ci prese il panico”. Con sgomento ma senza indugi accolgono il consiglio, invertono la rotta e con molta apprensione guadagnano la strada di ritorno mentre l’acqua continua a salire. “La paura crebbe a tal punto che feci un voto: se fossimo arrivate al Campo di Marte sane e salve avrei acceso un cero alla Madonna nella Chiesa dei Sette Santi in viale dei Mille”. E così fu. Al Campo di Marte la situazione era relativamente tranquilla, tanto che prima di rincasare viene mantenuta la promessa fatta al volante pochi attimi prima. Poi via di corsa ad avvertire il marito della catastrofe che si sta abbattendo su Firenze. “Entrai in casa e Paolo ancora dormiva. Mi diressi diretta in camera da letto agitata e impaurita, «Paolo sveglia c’è l’alluvione, l’Arno è straripato!» gridai”. Essere svegliati di soprassalto non è il massimo, con una notizia di questo tenore ancora meno. Milena ricorda bene la reazione del marito, un uomo dalla scorza burbera stesa sopra un animo generoso. Alzatosi dal letto tra improperi e borbottii, iniziò a vestirsi urlando «Sie, inventane un’altra! L’Arno l’è andaho di fori, sarà l’acqua che esce da una fogna, andiamo a vedere».
Paolo è costretto a ricredersi appena arrivato ai piedi del cavalcavia ferroviario che unisce via Lungo l’Affrico con Piazza Alberti. Oltre non è possibile procedere per le auto ferme che occupano l’intera carreggiata del cavalcavia. “Lasciata l’auto da una parte, risalimmo a piedi il cavalcavia per vedere cosa stava accadendo. Giunti in cima, si prospettò davanti ai nostri occhi uno spettacolo atroce: un mare di acqua e fango aveva ormai invaso Piazza Alberti e le strade circostanti. Vedemmo una macchina trascinata dalle acque sparire in via Gioberti. Paolo rimase sgomento e solo allora comprese che le mie non erano farneticazioni. Dopo un iniziale smarrimento, mi riaccompagnò a casa e poi portò l’auto al sicuro al Salviatino, parcheggiandola lungo la strada che sale verso Fiesole. Nel tornare a casa a piedi scivolò e, cadendo a terra, si incrinò una costola”.

Ma non c’è tempo per lamentarsi, il muro che delimita la ferrovia ha frenato l’afflusso delle acque verso il Campo di Marte ma l’inondazione sta comunque raggiungendo inesorabilmente la loro casa in viale Malta. Finiscono sott'acqua le cantine e i primi quattro gradini dell’atrio. La zona oltre lo Stadio Comunale non viene toccata, se non marginalmente, dall'alluvione. Questo consente ai negozi della zona di rimanere aperti anche durante quei tragici giorni e dare così continuità alla fornitura di viveri e provviste. Tutt'altra situazione invece nel quartiere di Santa Croce dove il livello dell’acqua ha raggiunto i 4,5 metri di altezza. Milena descrive un’apprensione sempre più crescente. “Le comunicazioni erano ovviamente interrotte e il pensiero era rivolto alla mia sorella più grande che abitava col marito e tre figli in Via dei Pepi, a due passi da Santa Croce. Il figlio più piccolo, di appena cinque mesi, era allattato con latte artificiale. Non sapevamo se ne avessero esigenza o meno. Ma mio marito si imbatté fortunosamente in un suo amico che girava con un canotto. Comprò del latte in polvere e si fece dare un passaggio fino a Via del Fico per effettuare la consegna. Quel giorno a Firenze si poteva navigare”. Mai Paolo avrebbe immaginato di dover remare per spostarsi nella sua città, attraverso chiassi e vicoli resi irriconoscibili dalla piena dell’Arno.

Milena non sa che le difficoltà maggiori le sta in realtà incontrando un altro suo fratello, Marcello. Vive con la moglie, i suoceri e due figli piccoli a pochi chilometri da casa sua, in via Luna, una stretta strada incastonata tra via Gioberti e via Giotto. Lì, al di là della ferrovia, l’esondazione è arrivata prepotente. Il livello dell’acqua sale con la stessa rapidità con cui cresce la preoccupazione della famiglia che abita al primo piano. Un paio di scalini ancora è l’abitazione sarà allagata. Marcello non si sente più protetto a rimanere in casa, è deciso a mettere in sicurezza i suoi cari. Si agita, scatta da una parte all'altra, fiuta il pericolo. Tenta un gesto disperato: con un figlio sulle spalle e uno in braccio esce di casa, entra nel mare di acqua che lo circonda. Avanza lentamente deciso a raggiungere il cavalcavia di Piazza Alberti. L’acqua gli arriva al torace, l’impresa è ardua quanto irrealizzabile. È costretto a desistere, torna in casa ma non si perde d’animo. Il suo carattere mai domo, impulsivo e tenace individua una via alternativa per mettersi al sicuro. “Uscirono sulla terrazza che si affacciava sul retro della casa” prosegue ancora Milena incarnando la drammaticità emotiva di chi quella situazione l’ha vissuta in prima persona. “Da qui salirono sul confinante tetto di un’officina che sorgeva accanto alla casa. Marcello avanti, gli altri dietro. Voleva raggiungere la terrazza di un appartamento posto più in alto rispetto al loro. Servendosi di una scala a pioli creò un collegamento di fortuna, instabile e sospeso nel vuoto, tra il tetto dell’officina e la ringhiera della terrazza”. È l’unica via di uscita. Uno alla volta, salgono la scala, Marcello fa avanti e indietro con i figli in collo. Raggiungono così l’abitazione dove vive, da sola, una distinta signora di mezza età che tra stupore e cortesia, apre la porta di casa. O, per meglio dire, la portafinestra. Ha già dato ospitalità a un’altra famiglia in difficoltà. La sua casa diventa un piccolo centro di accoglienza per sette adulti e quattro bambini ai quali la padrona di casa, preoccupata per l'incolumità di ninnoli e ornamenti, rivolge un cortese invito a «toccare con gli occhi e guardare con le mani»

Non appena le acque si ritirano Firenze si risveglia in un mare di fango e detriti. Bisogna rimboccarsi le maniche per riportare alla normalità uno scenario apocalittico, si contano i danni fisici e morali. La famiglia di Milena si divide tra la casa e la bottega. Il negozio è stato completamente sommerso dall'acqua, gli arredi danneggiati, i prodotti dispersi o rovinati. “Fango e nafta aveva imbrattato le pareti fino al soffitto, il locale era stato devastato in tutto e per tutto. Gli sforzi di tanti anni spazzati via in poche ore. Iniziammo a cercare di salvare il salvabile, a spalare, raschiare, pulire e lavare. Lavorammo freneticamente per riaprire prima possibile l’attività. Sei caschi, poltroncine, un divanetto e mobili: tutto da buttare. Un grosso ordine di colori per capelli era arrivato la sera prima dell’alluvione. Fui costretta a gettarne l’intero contenuto perché l’acqua aveva staccato o reso illeggibili le etichette rendendo di fatto inutilizzabili i prodotti. Un dramma. Il Comune concesse agli alluvionati un indennizzo di 500.000 lire ma i danni ammontarono a molto di più, basti pensare che solo un casco all'epoca costava 150.000 lire”.
Di tutto il negozio si salvarono solo le fiale anticaduta per capelli e i bigodini che, sommersi da una coltre di melma, presero la via di casa per cercarne il pieno recupero. “Mi incaricai io di riportare alla luce quell'ammasso di materia e fango” interviene Gabriella, la figlia di Milena allora quindicenne. “Con i secchi andavo avanti e indietro da casa alla piscina Costoli dove prendevo l’acqua dalla vasca, che in quei giorni era l’unica fonte di approvvigionamento idrico disponibile. Lavai via tutto lo sporco. A distanza di cinquant'anni ho ancora vivo il ricordo degli odori fetidi lasciati in dono dalla piena. Quello nauseabondo di putrido, intenso vicino ai negozi di generi alimentari e alle carcasse di animali morti, e quello acre di nafta intriso l’aria, impregnato nei muri, negli oggetti e negli affetti”.





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