lunedì 22 agosto 2016

Firenze vista dall'alto. Panorami e vertigini della Torre di San Niccolò


Dopo aver ammirato Firenze dal basso, scivolando sulle acque dell'Arno sopra i barchetti dei renaioli, è tempo di arrampicarsi in alto per invertire la prospettiva panoramica sulla città. Dal 2011, dopo un progetto di recupero e restauro che l'ha riportata all'antico splendore e resa accessibile per la prima volta al pubblico, è visitabile la Torre di San Niccolò in Piazza Poggi. 


Eretta nel 1324 probabilmente su progetto dell'Orcagna, a difesa dell'omonimo quartiere circostante che occupa la parte orientale dell'Oltrarno, era una delle porte della seconda cerchia muraria di età comunale edificata a partire dalla fine del XIII secolo. Nel 1282 fu infatti progettata una grandiosa cinta muraria, attribuita tradizionalmente ad Arnolfo di Cambio, che lunga più di 8 km e alta circa sei metri quintuplicava l'area all'interno delle mura dai circa 75 ettari inglobati nella prima cinta di età comunale della fine del XII secolo a 430 ettari. Una struttura imponente, intervallata da 12 porte monumentali e una sessantina di torri, che offriva protezione ad un tessuto urbano in forte espansione che si ritiene popolato tra la fine del 1200 e gli inizi del 1300 dagli 80000 ai 100000 abitanti.


Le porte rivestivano allora la duplice funzione di ingresso alla città e di baluardo di difesa, tanto che quella di San Niccolò è chiamata indifferentemente Porta o Torre, appellativo quest'ultimo che si richiama al suo aspetto massiccio e merlato. La loro apertura all'alba e la chiusura all'approssimarsi del tramonto regolamentava il flusso in entrata e uscita dalla città e il frenetico vai e vieni di contadini, mercanti e viandanti. Ogni giorno al calare del sole, al rintocco delle campane che avvertivano la popolazione dell'imminente chiusura, gli enormi portoni di legno venivano serrati per mezzo di quattro possenti chiavi impedendo di fatto il passaggio da una parte all'altra delle mura. Succedeva pertanto che i ritardatari, affannandosi per varcare le porte prima della loro chiusura, erano soliti lanciare sassi contro i battenti per palesare il loro imminente arrivo e farne ritardare in tal modo lo sbarramento. Da questa pratica deriverebbe il detto fiorentino "essere alle porte coi sassi", usato per indicare una situazione imminente. Ma come già accennato, le porte erano anche punti di avvistamento del nemico in avvicinamento e capisaldi fortificati a protezione della città da cui sferrare operazioni di difesa in caso di attacco. 


Sotto il granducato di Cosimo I, durante la guerra contro Siena del 1554, la cinta muraria fu rafforzata ma le porte furono scapitozzate in modo da evitare che fossero colpite dai colpi di cannone sparati dai nemici. L'unica porta ad evitare questa sorte fu proprio quella di San Niccolò in virtù del fatto che la sovrastante collina di San Miniato la rendeva naturalmente al riparo da tale pericolo. Questo ha permesso di poterla ammirare ancora oggi nelle sue originarie 100 braccia fiorentine di altezza (35 metri), che sono oggi interamente esplorabili grazie a camminamenti e ripide scale che conducono alla sua sommità. Qui, tra il coronamento a merli guelfi ricostruito interamente nel 900, si apre un panorama a 360 gradi su Firenze. Suggestiva la scenografica veduta sull'Arno, sulla distesa di tetti rossi del sottostante rione San Niccolò e sul monumentale profilo del centro storico: sembra quasi di toccare con mano la cupola del Brunelleschi o il Campanile di Giotto. Non è da meno la vista che si apre, sul lato opposto della torre, sul Piazzale Michelangelo: un punto di osservazione inusuale, anche per un fiorentino, della più rinomata terrazza panoramica di Firenze. Chi non soffre di vertigini può camminare sui piombatoi, le fenditure da cui venivano gettate sul nemico pece e olio bollente. Consiglio in modo spassionato di salire all'ora del tramonto per godere di uno spettacolo che lascia senza fiato.



Il lato della torre rivolto verso San Niccolò è scandito da tre enormi archi sovrapposti, uno per piano, mentre quello opposto presenta ai lati dell'arco della porta due mensole che originariamente dovevano ospitare altrettante statue di leoni e al livello superiore, intervallati alle tre aperture presenti, quattro scudi con le insegne della Repubblica Fiorentina. All'interno della porta, nella lunetta sopra l'arco, si conserva un affresco del XIV secolo raffigurante la Madonna con il Bambino tra San Giovanni Battista e San Niccolò di Bari affiancati da due angeli musicanti. Perduta invece la statua del Petrarca, decorazione dedicata alla celebrazione di un personaggio illustre prevista anche nelle altre torri.


I lavori che trasformarono negli anni sessanta dell'800 Firenze Capitale d'Italia, a cui si devono le cosiddette Rampe del Poggi che dai piedi della Torre di San Niccolò salgono fino al Piazzale Michelangelo, portarono alla demolizione delle mura arnolfiane fatta eccezione per un breve tratto in Oltrarno e per le porte che si ergono ancora come testimoni isolati del passato medievale. A loro posto grandi viali, ispirati ai boulevard parigini, che rispondevano ad una volontà di modernizzazione e celebrazione dell'impianto urbano. 


Dove: Torre San Niccolò, Piazza Poggi – Firenze
Quando: fino al 14/09 tutti i giorni con orario 17-20, dal 15/9 al 30/9 tutti i giorni con orario 16-19. Consigliata la prenotazione. Accessi ogni 30 minuti con visita guidata. In caso di pioggia o di terreno bagnato il servizio è sospeso.
Costo: €4,00 biglietto intero, gratuito minori 18 anni



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venerdì 12 agosto 2016

La riscoperta delle grotte del Poggi al Piazzale Michelangelo. Luci e ombre sulla terrazza di Firenze

Undici spazi fissi dedicati e circa 750 eventi in programma animano la vivace estate fiorentina targata 2016. Ce n’è per tutti i gusti. Musica, arte, cinema, teatro, danza, tradizione e letture abbracciano la città a macchia di leopardo nei mesi più caldi dell’anno. 
Iniziativa di assoluto valore, su cui desidero soffermarmi, è quella che ha visto protagonista la neonata Associazione Meriggio Fiorentino costituitasi proprio con l’intento di partecipare al bando per l’Estate Fiorentina 2016. Cuore dell’iniziativa una mostra pittorica-scultorea di tre artisti contemporanei, Fuad, Giuliano Pini e Gian Paolo Talani, progettata realizzata e allestita a cura di Paolo Nocentini e Francesco Innocenti. 


 

Senza nulla togliere alle virtù artistiche delle opere in mostra, l’eccezionalità a cui accennavo precedentemente risiede nella location, tanto per usare in termine molto in voga, che per diciotto giorni ha ospitato l’esposizione: le tre grotte sottostanti la balconata del Piazzale Michelangelo. 


Un luogo da sempre abbandonato e colpevolmente dimenticato sebbene intimamente congiunto a quel suolo calpestato ogni anno da milioni di turisti, un triste “cono d’ombra” appena sotto la celebre terrazza con vista su Firenze. Eppure anche da queste grotte si gode di un invidiabile scorcio panoramico, luogo di sosta per chi arriva dal sinuoso viale Poggi o si “arrampica” sulla collina tramite le Rampe. 



Per dare ancora più lustro a Firenze Capitale, il Poggi realizzò un impianto monumentale di scalinate, vialetti, grotte e fontane che dalla Torre di San Niccolò, prospiciente l'Arno, scandivano la salita fino al nuovo belvedere sulla città. Le grotte, scavate nella roccia, si collocano su tre differenti livelli. Ricoperte di manieristiche concrezioni e stalattiti facevano da sfondo a vasche e giochi d'acqua, di cui ormai resta solo un lontano ricordo. Ma è lo stato di abbandono generale di tutto il complesso delle Rampe quello che colpisce. Una porta di accesso al paradiso vittima dell'incuria e del degrado, una collana di perle al collo di Firenze trasformatasi in un cappio di corda. La prime serie di grotte, affacciate su Piazza Poggi, giacciono seminascoste dalla vegetazione rampicante specchiandosi in vasche dall'aspetto paludoso.




Le tre grotte poste al livello più alto sono quelle che l'Associazione Meriggio ha adottato e riportato alla luce. Chiuse da sempre da una imponente cancellata di ferro, senza vasche e concrezioni diversamente dalle sorelle sottostanti, si ergevano umilmente lì inutilizzate. Senza un uso né una destinazione che non fosse quella di discarica di rottami, sudicio e guano, o per dirla con le parole dell'organizzatore “una concimaia”. Una ruspa, tre camion, tanto sudore e un'infinita passione sono serviti per ripulire e restituire dignità a questo posto che merita ben altro rispetto. L'intuizione del Meriggio Fiorentino è stata quella di sapere leggere tra le pieghe del decadimento in cui versavano le grotte una potenzialità da sprigionare, da liberare attraverso quei cancelli che sembravano aver definitivamente sigillato il loro destino. 





I promotori di questa iniziativa, frutto di un grande gesto d'amore per Firenze, hanno permesso alla loro città di riappropriarsi di un luogo semplice ma suggestivo proprio come è stata la loro esposizione. Un momento di approfondimento artistico, occasione di incontro e di riflessione. Su cosa è stato fatto e su cosa non dovrebbe essere più fatto. Con la speranza che la dote lasciata in dono alla città sia di esortazione per poter gettare uno sguardo più sereno su questo un angolo di città.




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giovedì 4 agosto 2016

Dove la pietra diventa arte. Il museo dell'Opificio delle Pietre Dure

La storia dell’Opificio delle Pietre Dure parte da molto lontano nel tempo. Bisogna risalire al 1588, anno in cui Ferdinando I de’ Medici dette vita a una manifattura artistica per la lavorazione delle pietre dure, i cui laboratori ebbero sede inizialmente nel Casino di San Marco per poi essere trasferiti agli Uffizi.

La manifattura era specializzata nella realizzazione di oggetti con la tecnica del “commesso in pietre dure”, detta anche mosaico fiorentino, che consisteva nell'assemblare (il temine commesso deriva dal latino “committere”= congiungere) piccole tessere di pietra, tagliate singolarmente sulla base di un disegno pittorico iniziale, poi fissate con della colla su una lastra di lavagna. Vennero in tal modo creati arredi e oggetti artistici di eccezionale valore, particolarmente apprezzati anche al di fuori dei confini nazionali e ambiti dalle famiglie più ricche e potenti d’Europa. Il capolavoro massimo di questa manifattura, che proseguì anche sotto la dinastia dei Lorena, è la Cappella dei Principi nelle Cappelle Medicee

Con la fine del Granducato cessò di esistere il motore propulsivo di questa tradizione artistica con un calo drastico delle commesse che fece entrare l’Opificio in una grave crisi da cui uscì con rinnovato vigore grazie allo sviluppo di una nuova attività, il restauro, che da allora è divenuta l’essenza stessa dell’Opificio che oggi è riconosciuto come punto di riferimento a livello mondiale in tale campo. 

Il Museo, allestito nei locali storici in via degli Alfani dove hanno sede una parte dei laboratori di restauro una biblioteca specializzata e la scuola di alta formazione, è l’espressione dell’anima primitiva dell’Opificio, quella cioè dedita alla produzione di manufatti artistici. Nato alla fine dell’800 e profondamente ristrutturato nel 1995 su progetto dell’architetto Adolfo Natalini, il museo è allestito secondo un percorso tematico e cronologico. 


Nella prima parte, che comprende il grande salone finestrato e articolato in quattro grandi nicchie, sono esposte le opere realizzate nel periodo granducale tra il 1500 e il 1700.
Le opere del 1500 prediligono soggetti astratti e decori geometrici, quelle datate al secolo successivo mostrano una predilezione verso temi naturalistici in cui si intrecciano fiori, frutta e uccelli. Tutte accomunate da una gamma di pietre sbalorditiva per cromatismo e varietà con materiali provenienti da tutto il mondo.




Alcuni manufatti in porfido rosso antico ci ricordano come questo materiale lapideo fosse apprezzato dai Medici e in particolare da Cosimo I, perché storicamente ritenuta per il suo colore la pietra regale per eccellenza destinata nell'antica Roma alla celebrazione dell’imperatore.



Se reliquiari, orologi, cornici, mobili e tavoli costituivano il repertorio classico della manifattura, non altrettanto si può dire della serie di dieci pannelli con storie bibliche e paesaggi realizzata per l’altare che avrebbe dovuto rifulgere, con i suoi intarsi e metalli preziosi, al centro della già citata Cappella dei Principi. L’altare non fu mai collocato nel luogo per il quale era stato pensato e fu smembrato alla fine del ‘700.



Il piano rialzato del salone accoglie un campionario di circa 700 pietre, ordinatamente esposte in vetrine a muro, e una serie di banchi per intagli del XVIII-XIX secolo e strumenti di lavoro su materiali lapidei (rotini, castelletti, rande).








 

Nelle sale successive al salone si conservano invece le creazioni del periodo post unità d’Italia quando l’opificio iniziò a produrre manufatti pensati per la vendita al pubblico come forma di autofinanziamento. 






In questa parte del museo, caratterizzata da un allestimento in stile ottocentesco, si trovano alcune delle opere rimaste invendute. 
Le opere esposte si fanno apprezzare per la raffinatezza ed eleganza della loro composizione.






Dove: Museo dell’Opificio delle Pietre Dure, via degli Alfani 78 - Firenze
Quando: da lunedì a sabato con orario 8.15 – 14
Costo: biglietto intero €4, ridotto €2


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