A
due passi dal Duomo, lungo la direttrice principale che collega la
Cattedrale alla stazione di Santa Maria Novella, è tra le più
antiche chiese di Firenze. Citata nei documenti fin dal 931 ma
esistente già nell’VIII secolo, fu inglobata all’interno delle
mura medievali erette nel 1078. Poco avvalorata la data del 580,
riportata su una lapide murata nel coro della chiesa, quale anno di
consacrazione dell’edificio. Nel 1179 assunse il titolo di
collegiata e fu una delle dodici antiche priorie.
Nella
seconda metà del XIII secolo con il passaggio ai Cistercensi fu
ricostruita in forme gotiche e le fu donato l’impianto a tre navate
divise da arcate a sesto acuto su pilastri quadrangolari.
Come
si legge nelle “Notizie
istoriche delle chiese fiorentine divise ne suoi quartieri”
di Giuseppe Richa la facciata in pietra grezza risale al 1300 e fu
fatta fare da Terrino dei Manovelli. E’ ancora oggi visibile grazie
ai lavori eseguiti nel 1912-1913 che rimossero una intonacatura di
epoca successiva.
Di
età romanica è la torre campanaria, successivamente mozzata
all’altezza della facciata, dove risuonava la campana della
Cavolaja. Il nome si deve probabilmente al fatto che fu acquistata
con il lascito di un’ortolana perché risuonasse ogni giorno, alle
quattro del pomeriggio, per avvisare la gente dei sobborghi di
Firenze che lavoravano in città di tornare alle loro case prima
della chiusura delle porte delle mura. Da quanto riferisce Giuseppe
Richa a seguito di una osservazione avvenuta in prima persona sulla
torre campanaria, la campana che risuonava al suo tempo era datata
1610 e riportava l’iscrizione in bronzo “Berta”. Tale
iscrizione, recuperata da una campana preesistente, identificherebbe
il nome di quella donna che con il suo lascito aveva istituito
l’usanza del suono della campana, secondo quanto avvalorato anche
da Leopoldo del Migliore nella sua “Firenze
Illustrata”.
Fu
Chiesa Collegiata fino al 1515 quando perse il titolo e tutti i suoi
prosperosi beni che furono concessi da Leone X alla vicina Santa
Maria del Fiore. Riacquistò nuovo vigore nel 1521 quando fu concessa
ai Padri Carmelitani della Congregazione di Mantova che,
originariamente stabilitisi nel Convento di Santa Maria delle Selve a
Lastra a Signa, si trasferirono dalla Chiesa di San Barnaba nel nuovo
convento di Santa Maria Maggiore. Nel corso del XVII secolo furono
apportate trasformazioni all’interno della chiesa per mano
dell’architetto Gherardo Silvani, con l’inserimento di nuove
decorazioni, stucchi, altari di marmo e una serie di modifiche alle
cappelle laterali. Tali cappelle, espressione del mecenatismo delle
famiglie Ribotti, Panciatichi, Orlandini, Carnesecchi e Beccuto,
erano impreziosite secondo quanto riferito dalle fonti da pregevoli
dipinti di Paolo Uccello, Agnolo Gaddi, Masaccio e Botticelli. In
particolare la cappella dei Panciatichi conservava sull’altare una
Pietà del Botticelli mentre quella dei Carnesecchi una tavola che
Vasari affermava essere opera di Masaccio.
Degli originari affreschi trecenteschi si conservano quelli che decorano la cappella maggiore con “Le storie di Erode e la strage degli Innocenti”; nella cappella di sinistra del transetto è visibile invece la “Madonna in trono col bambino”, bassorilievo in legno policromo opera di Coppo da Marcovaldo (XIII secolo). In questa cappella c’è una colonna con iscrizione che segnala la tomba di Brunetto Latini, politico e scrittore maestro di Dante verso il quale il somma poeta nutrì una profonda ammirazione nonostante lo abbia inserito nell’Inferno tra i sodomiti. Il sepolcro del Latini era originariamente sorretto da quattro colonne.
Degli originari affreschi trecenteschi si conservano quelli che decorano la cappella maggiore con “Le storie di Erode e la strage degli Innocenti”; nella cappella di sinistra del transetto è visibile invece la “Madonna in trono col bambino”, bassorilievo in legno policromo opera di Coppo da Marcovaldo (XIII secolo). In questa cappella c’è una colonna con iscrizione che segnala la tomba di Brunetto Latini, politico e scrittore maestro di Dante verso il quale il somma poeta nutrì una profonda ammirazione nonostante lo abbia inserito nell’Inferno tra i sodomiti. Il sepolcro del Latini era originariamente sorretto da quattro colonne.
Agli
inizi del 1800 Santa Maria Maggiore fu abbandonata dai Carmelitani ai
quali subentrò nel 1817 l’ordine dei “Ministri degli infermi di
San Camilllo de’ Lellis”.
Il
fascino di questa chiesa risiede senza dubbio nella sua millenaria
storia e nelle sue grazie artistiche e architettoniche. Ma non solo.
Fa da sfondo a uno dei tanti misteri che aleggiano nelle strade e nei
palazzi di Firenze e che risulta ancora oggi irrisolto o per lo meno
non del tutto chiarito. Sul lato della torre che si affaccia su via
de’ Cerretani è infatti murata una testa di donna di epoca tardo
romana, la cosiddetta Berta. Intorno a questa testa che osserva
dall’alto il via vai continuo di una delle vie principali del
centro storico cittadino sono fiorite diverse leggende nel tentativo
di dare un senso ad una presenza bizzarra quanto inusuale. Una di
queste riporta indietro nel tempo fino al 16 settembre 1327 quando
l’astrologo e alchimista Francesco Stabili, conosciuto come Cecco
D'Ascoli, si trovava a passare di lì per essere condotto al rogo per
stregoneria. Aveva infatti predetto l’inclinazione a “libidine"
della futura regina di Napoli, Giovanna detta “la Pazza",
nipote di quel Duca di Calabria che non aveva affatto gradito una
simile premonizione. Una donna, forse la perpetua del priore, si
affacciò dalla torre e sentendo il condannato chiedere dell’acqua
urlò a gran voce “se beve, non brucerà più”, intimando a
chiunque di dare da bere a quell’uomo che grazie ai suoi poteri
magici di alchimista si sarebbe in quel modo salvato. “E tu non
leverai più la testa di lì" fu la terribile maledizione che
per tutta risposta Cecco lanciò verso la donna.
Una
variante di questa leggenda sostituisce la donna con il sacerdote
della chiesa mentre un’altra storia racconta che la testa
pietrificata apparterrebbe a una donna che avrebbe osato schernire un
condannato al suo passaggio, ricevendo in cambio da questi una
maledizione.
Un’altra
leggenda si riallaccia invece alle vicende della campana e
dell’iscrizione a cui si accennava prima. La testa sarebbe il
ritratto di una venditrice di verdure che ogni mattina dalla campagna
conduceva il proprio banco carico di ortaggi in quel punto della
città. La donna decise di regalare alla chiesa una campana per
avvertire i contadini della chiusure delle porte; tale gesto fu
particolarmente apprezzato dai fiorentini che decisero di dedicare un
busto alla donna come atto di riconoscenza.
Se
più indizi fanno avvalorare l’ipotesi che dietro alla donazione
della campana ci sia davvero il gesto magnanime di una donna, per la
testa di marmo è più probabile credere all’usanza diffusa nel
Medioevo di utilizzare reperti antichi quale materiali di riutilizzo.
Quello
che è certo è che quel volto di donna è una delle tante curiosità
in cui ci si imbatte passeggiando per il centro di Firenze. Se vi
trovate a passare per via de’ Cerretani e vi sentite osservati
nessun problema: è la Berta che vi guarda.
Santa Maria da Cascia - Primo Conti, olio su tela |
Copyright © 2015 “Firenze anda e rianda” by Iacopo Fortini. Tutti i diritti riservati. All rights reserved.
Nessun commento:
Posta un commento