domenica 6 dicembre 2015

Storia e misteri della Chiesa di Santa Maria Maggiore a Firenze

A due passi dal Duomo, lungo la direttrice principale che collega la Cattedrale alla stazione di Santa Maria Novella, è tra le più antiche chiese di Firenze. Citata nei documenti fin dal 931 ma esistente già nell’VIII secolo, fu inglobata all’interno delle mura medievali erette nel 1078. Poco avvalorata la data del 580, riportata su una lapide murata nel coro della chiesa, quale anno di consacrazione dell’edificio. Nel 1179 assunse il titolo di collegiata e fu una delle dodici antiche priorie. 

Nella seconda metà del XIII secolo con il passaggio ai Cistercensi fu ricostruita in forme gotiche e le fu donato l’impianto a tre navate divise da arcate a sesto acuto su pilastri quadrangolari.
Come si legge nelle “Notizie istoriche delle chiese fiorentine divise ne suoi quartieri” di Giuseppe Richa la facciata in pietra grezza risale al 1300 e fu fatta fare da Terrino dei Manovelli. E’ ancora oggi visibile grazie ai lavori eseguiti nel 1912-1913 che rimossero una intonacatura di epoca successiva.
Di età romanica è la torre campanaria, successivamente mozzata all’altezza della facciata, dove risuonava la campana della Cavolaja. Il nome si deve probabilmente al fatto che fu acquistata con il lascito di un’ortolana perché risuonasse ogni giorno, alle quattro del pomeriggio, per avvisare la gente dei sobborghi di Firenze che lavoravano in città di tornare alle loro case prima della chiusura delle porte delle mura. Da quanto riferisce Giuseppe Richa a seguito di una osservazione avvenuta in prima persona sulla torre campanaria, la campana che risuonava al suo tempo era datata 1610 e riportava l’iscrizione in bronzo “Berta”. Tale iscrizione, recuperata da una campana preesistente, identificherebbe il nome di quella donna che con il suo lascito aveva istituito l’usanza del suono della campana, secondo quanto avvalorato anche da Leopoldo del Migliore nella sua “Firenze Illustrata”. 


Fu Chiesa Collegiata fino al 1515 quando perse il titolo e tutti i suoi prosperosi beni che furono concessi da Leone X alla vicina Santa Maria del Fiore. Riacquistò nuovo vigore nel 1521 quando fu concessa ai Padri Carmelitani della Congregazione di Mantova che, originariamente stabilitisi nel Convento di Santa Maria delle Selve a Lastra a Signa, si trasferirono dalla Chiesa di San Barnaba nel nuovo convento di Santa Maria Maggiore. Nel corso del XVII secolo furono apportate trasformazioni all’interno della chiesa per mano dell’architetto Gherardo Silvani, con l’inserimento di nuove decorazioni, stucchi, altari di marmo e una serie di modifiche alle cappelle laterali. Tali cappelle, espressione del mecenatismo delle famiglie Ribotti, Panciatichi, Orlandini, Carnesecchi e Beccuto, erano impreziosite secondo quanto riferito dalle fonti da pregevoli dipinti di Paolo Uccello, Agnolo Gaddi, Masaccio e Botticelli. In particolare la cappella dei Panciatichi conservava sull’altare una Pietà del Botticelli mentre quella dei Carnesecchi una tavola che Vasari affermava essere opera di Masaccio.

Degli originari affreschi trecenteschi si conservano quelli che decorano la cappella maggiore con “Le storie di Erode e la strage degli Innocenti”; nella cappella di sinistra del transetto è visibile invece la “Madonna in trono col bambino”, bassorilievo in legno policromo opera di Coppo da Marcovaldo (XIII secolo). In questa cappella c’è una colonna con iscrizione che segnala la tomba di Brunetto Latini, politico e scrittore maestro di Dante verso il quale il somma poeta nutrì una profonda ammirazione nonostante lo abbia inserito nell’Inferno tra i sodomiti. Il sepolcro del Latini era originariamente sorretto da quattro colonne.
Agli inizi del 1800 Santa Maria Maggiore fu abbandonata dai Carmelitani ai quali subentrò nel 1817 l’ordine dei “Ministri degli infermi di San Camilllo de’ Lellis”.

Il fascino di questa chiesa risiede senza dubbio nella sua millenaria storia e nelle sue grazie artistiche e architettoniche. Ma non solo. Fa da sfondo a uno dei tanti misteri che aleggiano nelle strade e nei palazzi di Firenze e che risulta ancora oggi irrisolto o per lo meno non del tutto chiarito. Sul lato della torre che si affaccia su via de’ Cerretani è infatti murata una testa di donna di epoca tardo romana, la cosiddetta Berta. Intorno a questa testa che osserva dall’alto il via vai continuo di una delle vie principali del centro storico cittadino sono fiorite diverse leggende nel tentativo di dare un senso ad una presenza bizzarra quanto inusuale. Una di queste riporta indietro nel tempo fino al 16 settembre 1327 quando l’astrologo e alchimista Francesco Stabili, conosciuto come Cecco D'Ascoli, si trovava a passare di lì per essere condotto al rogo per stregoneria. Aveva infatti predetto l’inclinazione a “libidine" della futura regina di Napoli, Giovanna detta “la Pazza", nipote di quel Duca di Calabria che non aveva affatto gradito una simile premonizione. Una donna, forse la perpetua del priore, si affacciò dalla torre e sentendo il condannato chiedere dell’acqua urlò a gran voce “se beve, non brucerà più”, intimando a chiunque di dare da bere a quell’uomo che grazie ai suoi poteri magici di alchimista si sarebbe in quel modo salvato. “E tu non leverai più la testa di lì" fu la terribile maledizione che per tutta risposta Cecco lanciò verso la donna. 

Una variante di questa leggenda sostituisce la donna con il sacerdote della chiesa mentre un’altra storia racconta che la testa pietrificata apparterrebbe a una donna che avrebbe osato schernire un condannato al suo passaggio, ricevendo in cambio da questi una maledizione.
Un’altra leggenda si riallaccia invece alle vicende della campana e dell’iscrizione a cui si accennava prima. La testa sarebbe il ritratto di una venditrice di verdure che ogni mattina dalla campagna conduceva il proprio banco carico di ortaggi in quel punto della città. La donna decise di regalare alla chiesa una campana per avvertire i contadini della chiusure delle porte; tale gesto fu particolarmente apprezzato dai fiorentini che decisero di dedicare un busto alla donna come atto di riconoscenza.
Se più indizi fanno avvalorare l’ipotesi che dietro alla donazione della campana ci sia davvero il gesto magnanime di una donna, per la testa di marmo è più probabile credere all’usanza diffusa nel Medioevo di utilizzare reperti antichi quale materiali di riutilizzo.


Quello che è certo è che quel volto di donna è una delle tante curiosità in cui ci si imbatte passeggiando per il centro di Firenze. Se vi trovate a passare per via de’ Cerretani e vi sentite osservati nessun problema: è la Berta che vi guarda.

Santa Maria da Cascia - Primo Conti, olio su tela
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